Mai un momento di tranquillità, quando si parla di Serbia, figuriamoci poi quando si giocano le partite ad alto rischio come quelle contro i rivali della Croazia o dell'Albania: e proprio durante una partita con questi ultimi, a partita in corso un drone ha cominciato a sorvolare lo stadio con una bandiera albanese con una scritta inneggiante al Kosovo libero; il Kosovo è uno stato indipendente a maggioranza albanese, ma la Serbia tuttora si rifiuta di riconoscere la sua indipendenza... Il drone si abbassa sempre di più fino a quando la bandiera non è stata ovviamente strappata dal serbo Mitrovic che è stato (altrettanto ovviamente) accerchiato dai giocatori albanesi: è nata una rissa gigantesca, la partita è stata sospesa, il C.T. italiano dell'Albania Gianni De Biasi che accusa la polizia serba di scarsa protezione e si è perfino rivisto sul campo il simpatico Ivan Bogdanov detto Ivan il terribile, che quando c'è di mezzo una guerriglia non può proprio mancare.
Una storia travagliata, quella della Serbia e in generale quella della penisola balcanica. Andando indietro di 24 anni, una storia simile. C'era ancora la Jugoslavia, ma stava per scomparire. Troppo profondi i contrasti, le incomprensioni...
13 maggio 1990. E' in programma una partita di calcio, ma l'imponente numero di forze dell'ordine allertate fanno pensare che quella tra i padroni di casa della Dinamo Zagabria e la Stella Rossa Belgrado sia qualcosa di più di una partita, qualcosa di molto più serio. Giusto sei giorni prima, si erano tenute le prime elezioni libere in Croazia che avevano visto trionfare il partito indipendentista del futuro presidente Tudjman, in netta contrapposizione con la Serbia guidata da un leader altrettanto nazionalista ed estremista come Slobodan Milosevic. Si teme che la partita sia l'occasione per gli indipendentisti croati per far valere il risultato elettorale, magari anche con l'uso della forza; Lo scontro tra le due squadre diventa anche lo scontro tra due tifoserie particolarmente violente: gli ultras della Dinamo, i Bad Blue Boys, contrapposti ai Delije (eroi) serbi, guidati da un tale Zeljko Raznjatovic; in guerra si segnalerà come uno dei più spietati criminali, autore di razzie e genocidi di massa, diventerà famoso con il nome di comandante Arkan, e i suoi fedelissimi vengono chiamati "tigri". Il maresciallo Tito era morto dieci anni prima e la "sua" Jugoslavia si stava disgregando lentamente ma inesorabilmente e le spinte indipendentiste che si credevano esaurite stanno per tornare più dirompenti che mai.
Facciamo un piccolo passo indietro; già l'anno prima (19 marzo 1989), una vittoria della Dinamo Zagabria sul campo del Partizan Belgrado aveva mostrato preoccupanti avvisaglie: i croati salutano la vittoria con lancio di petardi, bengala e fumogeni, i serbi risposero con una sassaiola, fino a quando il tutto non degenera in una guerriglia urbana, con cori nazionalistici in sottofondo.
La partita sportivamente non ha più nulla da dire, la Stella Rossa si è già laureata campione e la Dinamo Zagabria è sicura del secondo posto. Ma lo sport in questa giornata di maggio centra poco. Arkan arriva a Zagabria e subito inizia la sua opera di distruzione, a partire dal treno sul quale viaggiano per arrivare allo stadio. Quando le tigri entrano allo stadio, lo stadio Maksimir è una bolgia, i cori e le offese contro i serbi non si contano, ma questi ultimi non stano certo a guardare e rispondono con lo slogan "Zagabria è Serbia"; il clima è incandescente e quando i Delije cominciano a sfasciare i pannelli pubblicitari, a lanciare seggiolini in campo e a massacrare i pochi tifosi della Dinamo che hanno provato ad affrontarli nelle tribune adiacenti, è il segnale che la bomba può esplodere. Gli ultras croati cercavano solo un pretesto per entrare in azione e imbufaliti per il mancato intervento della polizia (in maggioranza serba), cominciano a sfondare i cancelli per andare allo scontro frontale; ma i poliziotti questa volta intervengono e rispondono ai lanci di pietre con manganelli e gas lacrimogeni. I pompieri cercano di disperdere i BBB croati con i getti d'acqua, mentre scoppiano dei tafferugli anche nelle zone adiacenti allo stadio.
Di pallone se ne parla magari un'altra volta, la partita è ovviamente sospesa, anzi non è nemmeno cominciata. Ma quando scoppiano i disordini, qualche giocatore della Dinamo si trova sul terreno di gioco. Sebbene abbia solo 21 anni, Zvonomir Boban è il capitano della squadra di Zagabria, merito del suo talento e di un caratterino da prendere con le molle. In qualità di capitano, anche lui si ritrova sul campo per tentare di calmare gli animi, ma il compito non è per niente facile. Per difendere un giovane tifoso della Dinamo, il giovane calciatore sferra un calcio volante ad uno degli agenti, ecco il racconto dello stesso Boban: "Ho reagito ad una grande ingiustizia, così chiara che uno non poteva rimanere indifferente...'State massacrando dei bambini', gridai...Il poliziotto mi colpì due volte urlando: 'Brutto figlio di puttana. Sei come tutti gli altri!' A quel punto ebbi una reazione d'istinto. Gli fratturai la mascella con una ginocchiata".
La foto è diventata un simbolo, molti considerano quel momento come l'inizio della guerra. Addirittura venne eretto un monumento davanti allo stadio di Zagabria: "Ai sostenitori della squadra che sui questo terreno iniziarono la guerra contro la Serbia il 13 maggio 1990". Un simbolo, qualcosa da ricordare (per i croati), qualcosa da dimenticare (per i serbi). Solo tempo dopo, venne rintracciato il poliziotto aggredito da Boban, che non è serbo bensì un bosniaco mussulmano (una delle razze più perseguitate durante la guerra), che in seguito perdonò il gesto di Boban perché "erano giorni in cui le persone parevano cieche". Il giocatore rischiò anche l'arresto, ma alla fine arrivò "solo" una squalifica che tuttavia gli impedì di partecipare ai Mondiali di Italia '90 l'estate successiva.
Il 26 settembre 1990, prima giornata dell'ultimo campionato jugoslavo della storia, vede in programma Partizan Belgrado - Hajduk Spalato. Il Partizan segna due reti e a quel punto, gli ultras croati invadono il campo chiedendo la nascita della federazione croata di calcio e riescono ad ammainare la bandiera jugoslava, issando quella croata. Nel giugno 1991 Slovenia e Croazia dichiarano la loro indipendenza rendendo esplicito un conflitto che covava sotto la cenere già da diversi anni, come gli episodi legati al calcio hanno dimostrato.
Il primo incontro dopo la fine della guerra tra Serbia (che allora si chiamava ancora Jugoslavia) e Croazia avvenne il 18 agosto 1999. Si gioca al Marakana di Belgrado, casa della Stella Rossa. Non si verificarono episodi di violenza, c'è stato un black out di qualche minuto all'inizio del secondo tempo e come ricorda il difensore Slaven Bilic (futuro C.T. croato) "l'unica cosa che si vedeva erano i puntatori a infrarossi dei fucili dei cecchini"; quando risuonò nello stadio l'inno croato, mentre i giocatori cantavano abbracciati, i cinquantamila spettatori serbi presenti alzarono tutti il dito medio. Troppo recenti le ferite della guerra per far finta di niente...
(Fonti: SportVintage - East Journal)
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