martedì 29 aprile 2014

L'addio a Vilanova e Boskov

E' stato un weekend difficile quello appena concluso per il mondo del calcio. Difficile perchè nel giro di poche ore hanno lasciato questo mondo Tito Vilanova e Vujadin Boskov. Due allenatori molto diversi tra di loro ma che hanno lasciato un segno indelebile nel calcio di ieri e di oggi...

Tito Villanova è morto giovanissimo, a soli 45 anni a causa di un tumore che lo perseguitava da diversi anni. Arrivato alla Masia (la celebre casa dove si forgiano i talenti blaugrana) nel 1984, stringe subito amicizia con un tale Josep Guardiola, più giovane di tre anni; formano il "club dei golosi" perchè hanno preso l'abitudine di portare in sede a disposizione dei cuochi i prodotti tipici delle loro città. Il diverso talento dei due giocatori fa prendere strade diverse e così Vilanova dopo una discreta carriera da calciatore finisce ad allenare il Barcellona B nel 2002: in squadra giocano tre giovanotti niente male, Leo Messi, Cesc Fabregas e Gerard Piqué, ma la nomina a presidente di Joan Laporta porta una rivoluzione all'interno del club e Vilanova deve lasciare il suo posto; ci pensa però il vecchio amico Guardiola a richiamarlo alla Masia, quando viene nominato allenatore della squadra B nell'estate 2007. Un sodalizio durato 5 anni, gli ultimi quattro alla guida della prima squadra vincendo 14 trofei su 19 disponibili, un record incredibile! Vilanova era l'ombra fedele di Guardiola, il tattico, il saggio, quello che consigliava i cambi; non per niente era l'allenatore in seconda più pagato al mondo!
Il tumore inizia a manifestarsi nel 2011, quando diventa famoso (suo malgrado) anche per la famosa ditata in un occhio di Mourinho nel ritorno della Supercoppa di Spagna (che poi in conferenza stampa lo chiamerà "Pito" Vilanova, "pisellino"); nel frattempo comincia la chemioterapia e si allontana momentaneamente dalla panchina ma per Guardiola è così importante che lo chiama al telefono durante una partita per un suo rapido consiglio. Dopo l'addio di Pep, la decisione di promuoverlo come capo allenatore era scontata, vista anche l'approvazione di tutti i giocatori. Il Barça vince la Liga, ma la stagione è stata tutt'altro che facile: il 20 dicembre 2012 deve rinunciare alla panchina e vola a New York per curarsi. La squadra nel frattempo viene guidata dal suo amico e collaboratore Jordi Roura ed è talmente forte che non risente del contraccolpo psicologico e conquista il campionato con il record eguagliato dei 100 punti in campionato. Tito ritorna per la fine del campionato e tutto sembra alle spalle, ma la gravità della situazione dello sfortunato allenatore emerge chiaramente nel luglio 2013: con la squadra ormai già proiettata all'inizio della stagione, l'allenatore annuncia le sue dimissioni per il ripresentarsi del tumore. Era stato presentato dal club il 27 aprile 2012, a 728 giorni da quella ricorrenza ha perso la sua battaglia contro la malattia.



Ha avuto ovviamente un maggiore impatto emotivo la scomparsa di Vujadin Boskov grazie alla sua lunga permaneza in Italia. Nato a Begec, un paesino vicino a Novi Sad nel 1931; siamo nella Voivodina, provincia autonoma dell'allora Jugoslavia (che a differenza del Kosovo non ha mai proclamato l'indipendenza) e Boskov comincia a giocare per la squadra locale dal 1950 fino al 1960. Nel 1961 sbarca in Italia (prima dei 30 anni c'era una regola che vietava ai giocatori slavi di trasferirsi all'estero) alla Sampdoria ma ci rimane una sola stagione a causa degli infortuni. Chiude la carriera da giocatore in Svizzera nello Young Boys, che sarà anche la prima squadra che allenerà subito dopo aver appeso gli scarpini al chiodo.
Alla Sampdoria ha raggiunto la gloria, ma il percorso che ha portato l'allenatore serbo ai libri di storia del calcio italiano è stato lungo e sicuramente non facile. Dal 1964 al 1971 torna in patria per allenare il Vojvodina (è riuscito ad allenare tutte le squadre in cui ha giocato, compresa la nazionale serba in due parentesi, dal '71 al '73 e dal 1999 al 2001 sua ultima esperienza in panchina). Finisce in Olanda, prima all'ADO Den Haag dove vince una coppa d'Olanda nel 1975 e poi al Feyenoord dal '76 al '78. Sbarca in Spagna prima al Real Saragoza per poi approdare su una delle panchine più prestigiose del mondo, quella del Real Madrid! Il bottino è buono (una Liga, una Copa del Rey e una finale di Coppa Campioni persa) ma non basta; Boskov è un giramondo, ed è uno che non ha paura a mettersi in gioco: pochi anni dopo l'esperienza a Madrid, riparte con grande umiltà dall'Ascoli in serie B e centra subito la promozione. L'anno dopo, siamo nel 1986, guida la Sampdoria: per sei anni sarà il profeta della Genova blucerchiata, riuscendo a vincere lo scudetto nel 90-91 (ultima squadra a riuscirci al di fuori dal solito triangolo Milano-Torino-Roma), due coppe Italia (87-88 e 88-89), una Supercoppa Italiana (1991), una Coppa delle Coppe (1990). C'è la torta ma manca la ciliegina che poteva essere la coppa dei Campioni, ma la punizione di Ronald Koeman al 112' gela i sogni dei blucerchiati. L'anno dopo è alla Roma e fa esordire un Francesco Totti appena sedicenne. Seguono un biennio al Napoli, una parentesi svizzera al Servette, il ritorno alla Samp, il Perugia e la nazionale jugoslava prima del ritiro.


E' difficile però non ricordare Boskov, oltre che per i suoi successi in campo, per i suoi formidabili aforismi. Intelligente, furbo, ironico...forse solo "umano", uno di quei personaggi che mancano nel calcio di oggi. Diciamo anche che è ingiusto ricordarlo (come in molti stanno facendo) SOLO per le sue perle con i giornalisti e che prima di tutto è stato un signor tecnico...ecco comunque alcune delle sue frasi più celebri; ci sono le battute fulminanti:
"Benny Carbone con sue finte disorienta avversari ma pure compagni"
"Io penso che tua testa buona solo per tenere cappello" rivolto ad un giornalista.
Quando Gullit arrivò a Genova: "Gullit è come cervo che esce di foresta" e quando tornò al Milan "Gullit è come cervo ritornato in foresta"
Memorabile il suo giudizio sull'urugaiano del Genoa José Perdomo: "Se io slego il mio cane, lui gioca meglio di Perdomo", con precisazione successiva "Io non dire che Perdomo giocare come mio cane. Io dire che lui potere giocare a calcio solo in parco di mia villa con mio cane"

Geniali i suoi aforismi con i quali ribadiva delle grandi ovvietà (un modo come un altro per sottolineare che spesso il calcio è un gioco molto semplice):
"È rigore quando arbitro fischia"
"Squadra che vince scudetto è quella che ha fatto più punti""Più bravi di Boskov sono quelli che stanno sopra di lui in classifica"
"Chi non tira in porta non segna"
"La zona? Un brocco resta brocco anche se gioca a zona. Dov'è lo spettacolo?"

"Partita finisce quando arbitro fischia". Purtroppo la partita è finita. Ciao Vuja.