domenica 11 maggio 2014

El tractor spegne il motore

Nel 1995 l'Inter era appena tornata in mano ad un Moratti; Massimo, il figlio di Angelo presidente della grande Inter degli anni '60.
Nella foto sotto, a fianco della bandiera nerazzura Giacinto Facchetti, ci sono due dei giocatori acquistati per tentare di riportare l'Inter ai grandi livelli e presentati il 5 giugno 1995 alla terrazza Martini. Il ragazzo alla sinistra di Facchetti si chiama Sebastian Rambert e le attenzioni sono un po' tutte per lui. Talento dell'Independiente, soprannominato "avioncito", per l'aeroplanino mimato dopo i gol. Anche il timido ragazzo alla destra è argentino, il suo nome è Javier Zanetti, ha 21 anni ma è poco conosciuto, si sa solo che ha giocato per il Banfield nell'ultima stagione e che il suo acquisto è stato avallato direttamente dal presidente Massimo Moratti e segnalato (come Rambert) da Angelillo. In luglio si presenta a Cavalese, sede del ritiro interista; da solo, con un sacchetto del supermercato in mano. Ad attenderlo solo due giornalisti. "Sono Zanetti, è qui il ritiro dell'Inter?"

19 anni dopo, Javier Zanetti è entrato nella storia del club, mentre Rambert ha collezionato solo due presenze (e nessuna in campionato) prima di essere ceduto già nel mercato invernale del 1995-96! A proposito di Rambert, Zanetti avrà modo di dichiarare in seguito: "Forse sono stato solo più fortunato di Sebastian – lui è comunque un buon giocatore, che non è riuscito a sfondare nell’Inter anche perché era reduce da un brutto infortunio al ginocchio"


Quando è arrivato in Italia, era uno dei 4 stranieri presenti in squadra (oltre al già citato Rambert, c'erano anche Paul Ince e Roberto Carlos), ma solo tre possono scendere in campo; rischia di essere il giocatore sacrificato, ma l'allenatore Ottavio Bianchi dimostra subito di credere in lui. Con grinta e determinazione si conquista il posto da titolare, posto che ha conservato fino alla fine della carriera a prescindere dagli allenatori che sedevano in panchina; terzino, centrocampista esterno, ala, centrale di centrocampo: ha ricoperto praticamente tutti i ruoli possibili, sempre pronto a sacrificarsi per la squadra. Probabilmente questa umiltà deriva dalla sua infanzia, quando giocava con le scarpette consumate nei campi polverosi; quando è stato scartato dall'Independiente per il fisico troppo gracile e per un anno ha smesso di giocare concentrandosi solo sullo studio e sul lavoro aiutando il padre muratore: gli servirà per sviluppare il suo fisico. Proprio il padre lo convince a riprendere a giocare e la possibilità arriva grazie al Talleres dove gioca il fratello Sergio, ma Javier - pur di non passare come raccomandato - aspettò che il fratello venisse ceduto prima di cominciare a giocare per la squadra.

E' rimasto negli anni sempre molto legato a Facchetti. Quando al dirigente interista diagnosticarono il tumore al pancreas, Zanetti andò spesso a trovarlo in ospedale. In una delle ultime visite strappò un sorriso a Facchetti promettendogli di portare il giorno successivo la Supercoppa Italiana; dopo essere stata sotto per 0-3 contro la Roma a San Siro, la squadra nerazzurra rimonta e vince ai supplementari per 4-3 e Zanetti torna a fare visita a Facchetti con il trofeo. Otto giorni dopo, il 4 settembre 2006 il grande Giacinto morì. Nel 2011, dopo la vittoria della coppa Italia ricevette un sms dalla madre che si trovava in Argentina: "Figlio, complimenti, sono felicissima per te...ti voglio bene". Ma Javier non fece in tempo a rispondere al messaggio, perché poche ore dopo la madre morì per un infarto.

Soprannominato "Pupi" perché in Argentina giocava in una squadra con ben cinque giocatori di nome Javier, ma soprattutto "El tractor" per la sua grande forza fisica che metteva nelle sue sgroppate sulle fasce. Quella forza e quella volontà che gli ha consentito di giocare fino a 41 anni riprendendosi dal gravissimo infortunio al tendine d'Achille dell'Aprile 2013, quando pochi giorni dopo l'operazione dichiarava che il suo sogno era solo quello di giocare un'altra partita con la maglia dell'Inter; ci è riuscito dopo 195 giorni di grande lavoro, nonostante l'avanzare implacabile dell'età. Più di mille partite disputate in tutta la sua carriera, secondo per presenze in serie A dietro al solo Maldini (e con sei stagioni in meno giocate in serie A). Due sole espulsioni in vent'anni in Italia. Tanti successi e tante delusioni. Il rispetto e l'ammirazione di tutti conquistato in ognuna delle migliaia di partite disputate. Sull'ultima fascia da capitano indossata a San Siro l'altra sera, i nomi di tutti i suoi compagni di squadra di questa favolosa avventura. Il numero 4 merita di non essere più indossato da nessun altro giocatore interista.