giovedì 30 ottobre 2014

R.I.P. - Klas Ingesson

Mi ricordo uno svedese alto (1,90) e grosso (86 kg). D'altronde Bologna è la città delle torri.

Mi ricordo di aver pensato che con lui in mediana a coprire Marocchi e l'altro svedese Andersson in attacco si poteva fare qualche bel campionato.

Mi ricordo la maglietta sempre a maniche corte. Sempre. Primavera, estate, autunno, inverno.

In tackle su Gattuso
Mi ricordo il numero 8 sulla maglietta.

Mi ricordo che pensavo che l'8 in teoria spetterebbe ai giocatori "buoni".

Mi ricordo come ci ho messo pochissimo a convincermi che fosse un giocatore buono, anche se i piedi non erano quelli di Kolyvanov.

Mi ricordo un rigore che ha fatto retrocedere la Sampdoria in serie B, segnato con la professionalità che tutti dovrebbero mostrare anche nelle ultime gare di campionato.

Mi ricordo che a Bologna lo avevamo soprannominato "taglialegna", perché una volta un giornalista lo aveva chiamato, ma lui si era negato visto che stava davvero tagliando gli alberi!

Mi ricordo che Eugenio Fascetti lo nominò capitano del Bari. "Ma mister, non parlo italiano". "Fa niente" rispose Fascetti, "fallo col cuore".

Scambio di gagliardetti con Antonio Conte
Mi ricordo che venne acclamato come un eroe insieme ai suoi compagni, dopo il terzo posto della Svezia al mondiale USA '94.

Mi ricordo che disse: "Ho mollato per 10 secondi,quando mi dissero 'hai il cancro'. Poi ho ricominciato a lottare come facevo in campo. Ora ce la sto facendo, il cancro è più piccolo di me, ha sbagliato corpo". Ci eravamo illusi tutti.

Mi ricordo il paradosso di un così poderoso giocatore costretto sulla sedia a rotelle a causa dell'osteoporosi, le ossa che diventano fragili come cristalli. Il braccio fratturato e il femore rotto dopo banali cadute. Ho saputo solo oggi che una settimana fa aveva rassegnato le dimissioni da allenatore dell'Elfsborg. Eppure continuava a progettare il futuro della squadra, faceva progetti . La dirigenza sapeva dell'aggravarsi della sua situazione, ma lui non voleva creare problemi al club. Come se il cancro l'avessero loro. "La malattia mi fa stare troppo male per il momento e non voglio che l’attenzione stia su di me. Devo pensare al meglio della squadra".

Mi ricordo che avevo un idolo quando ero piccolo.

Mi ricordo il coro ritmato dello stadio: Klas Klas Ingesson! Klas Klas Ingesson!

Mi ricorderò per sempre di Klas Ingesson, grande campione venuto dalla Svezia.

Ciao Klas

lunedì 27 ottobre 2014

L'Alcorconazo

Uno dei momenti peggiori nella gloriosa storia del Real Madrid. Cinque anni sono passati, ma il ricordo (anzi, l'incubo) è sempre ben presente nella mente dei tifosi madrileni.
Il 27 ottobre 2009, il Real del mister Manuel Pellegrini deve affrontare i 32esimi della Copa del Rey. In programma prevedeva la trasferta sul campo dell'Alcorcon, squadra della terza serie spagnola e situata nella periferia di Madrid, un piccolo derby; teatro del match è il piccolo Estadio Santo Domingo, capienza di 3000 spettatori, ovviamente tutto esaurito in occasione della partita contro i giganti del Real.

Doveva essere una passeggiata per il Real, invece l'Alcorcon massacra letteralmente i blancos: tre reti nei primi 45 minuti, quattro reti totali; i giocatori del Real sembrano in bambola, sul campo la differenza di più di 109 milioni di euro (110 contro poco meno di 1 milione) per gli stipendi dei giocatori non si nota e pazienza se lo stipendio medio dei giocatori dell'Alcorcon è di 36.000 €, quelli che Cristiano Ronaldo guadagnava in un giorno; il vero fenomeno sembra Borja Pérez (doppietta) mentre la squadra con in campo Raul, Benzema e Van der Vaart è totalmente incapace di produrre una qualsiasi reazione, una giocata, niente...

Questo il tabellino della partita:
Alcorcón - Juanma; Rubén Sanz, Iñigo López, Borja Gómez, Nagore; Rubén Sanz; Ernesto Gómez (Jeremy 65'), Sergio Mora, Fernando Bejar (Carmelo 75'); Diego Cascó, Borja Pérez (Bravo 82').
Real Madrid - Dudek; Arbeloa, Albiol, Metzelder, Drenthe; Mahamadou Diarra, Guti (Gago 46'), Van der Vaart; Granero (Marcelo 63'); Raúl (Van Nistelrooy 72'), Benzema.
Reti: 16' Borja Pérez, 22' Arbeloa (autogol), 40' Ernesto, 52' Borja Pérez.

Le azioni salienti della partita:



Ovviamente i giornali spagnoli non si fanno sfuggire l'occasione e vanno giù duro per quella che ad oggi è sicuramente la peggiore disfatta del Real Madrid.






domenica 26 ottobre 2014

Il ritiro di Marco Di Vaio

Cresciuto nelle giovanili della Lazio, dove non hanno mai creduto fino in fondo in lui, si trasferisce a Salerno, serie B, per una cifra (allora) record di 5 milioni di lire. Vincerà il titolo di capocannoniere e la Salernitana torna in serie A per la seconda volta nella sua storia. La stagione successiva Marco Di Vaio segna 12 reti ma la squadra campana non riesce a salvarsi. Per il giocatore però è il trampolino verso una grande carriera. Parma, Juventus, Valencia, Monaco, Genoa, prima dei quattro anni a Bologna, quando arriva 32enne e si pensa agli sgoccioli della carriera. Invece realizzerà altre 65 reti in 143 partite alla faccia di chi lo dava per finito e per la gioia dei tifosi e dei fanta-allenatori che puntavano fiduciosamente su di lui. Alla fine saranno 142 le reti in Italia (e 267 in carriera), come Pulici e Vieri. Finisce la carriera in Canada, al Montreal Impact, con un gol (ovviamente) e una standing ovation. A cui mi associo anche io. 

Marco Di Vaio esulta per un gol, dietro di lui Salvatore Fresi


martedì 21 ottobre 2014

I Balcani, il calcio e la politica (3/3)

Prima puntata: gli scontri tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa e il preludio della guerra
Seconda puntata: il ruolo del comandante Arkan

Ultimo post di questo viaggio nei tormentati Balcani e stavolta si parla di uno dei calciatori più carismatici e controversi usciti da quella ragione: Sinisa Mihajlovic.
Nato a Vukovar nel 1969, cresce nella Vojvodina prima di essere comprato dalla Stella Rossa nell'inverno 1991; nella squadra di Belgrado vince anche una coppa dei Campioni e una coppa Intercontinentale, prima di finire in quello che vent'anni fa era certamente il sogno di buona parte dei calciatori: il campionato italiano! Ecco allora Mihajlovic che viene acquistato dalla Roma; due stagioni in giallorosso, poi Sampdoria fino al 1998 quando i blucerchiati retrocedono in serie B. Torna a Roma, questa volta però con la casacca della Lazio: sei stagioni entusiasmanti, nonostante l'età non più verdissima. Per chiudere i due anni all'Inter, più con un ruolo di chioccia all'interno dello spogliatoio che giocatore, fino a quando al termine della stagione 2006 appende gli scarpini al chiodo.
Capace di segnare 97 reti in carriera, una cifra sbalorditiva per un difensore! Merito soprattutto dei suoi calci da fermo, rigori e soprattutto punizioni; ha anche stabilito il record di reti segnate su punizione in una partita, 3 in occasione di un Lazio-Sampdoria finito 5-2 (eguagliato il record che curiosamente deteneva in precedenza un altro laziale, Beppe Signori che in un Lazio-Atalanta 3-1 del 1994 segnò due punizioni di seconda e una punizione diretta, mentre Mihajlovic ha realizzato tutte le sue tre reti con punizioni dirette). Nato come centrocampista esterno, in Italia ha progressivamente arretrato il raggio d'azione fino a trovare la sua collocazione naturale col mister Sven-Göran Eriksson che alla Samp lo schiera per la prima volta al centro della difesa dove può sfruttare il suo lancio millimetrico e il suo senso della posizione che compensa la scarsa velocità.

Un giovane Mihajlovic e Arkan
Ma Mihajlovic è un personaggio che oltre alle sue giocate sul campo da calcio, ha fatto discutere per le sue prese di posizione. La questione più spinosa: l'amicizia con il comandante Arkan e con Slobodan Milosevic (tutti e due accusati di crimini contro l'umanità). Nel post precedente, avevo accennato allo striscione dedicato dai tifosi di destra della Lazio alla memoria di Arkan ("Onore alla tigre Arkan") subito dopo la sua morte e della reazione del croato Boksic, compagno di squadra di Mihajlovic. Si dice addirittura che lo striscione sia stato commissionato direttamente da Sinisa; quello che è certo è che il giocatore fece uscire un necrologio su un giornale serbo per l'amico assassinato. A distanza di anni il giocatore ricorda così quel momento: "Lo rifarei il necrologio perché Arkan era un mio amico: lui è stato un eroe per il popolo serbo. Era un mio amico vero, era il capo degli ultras della Stella Rossa quando io giocavo lì. Io gli amici non li tradisco né li rinnego. Conosco tanta gente, anche mafiosi, ma non per questo io sono così. Rifarei il suo necrologio e tutti quelli che ho fatto per altri, Da fuori, seduti in poltrona, è stato facile puntare il dito". Ancora su Arkan: "Non rinnego quel necrologio, ma non difendo i suoi crimini. Quelli restano. Sono orribili. E li condanno. Come tutti i crimini commessi, da una parte e dall'altra. In una guerra civile non esistono i buoni e i cattivi".

Altra amicizia scomoda, quella con Milosevic: "Ci ho parlato tre-quattro volte. Aveva una mia maglietta della Stella Rossa di Belgrado e mi diceva 'Sinisa se tutti i serbi fossero come te ci sarebbero meno problemi in questa terra'. So dei crimini attribuiti a Milosevic, ma nel momento in cui la Serbia viene attaccata, io difendo il mio popolo e chi lo rappresenta". Parole importanti, così come quando parla della guerra civile che ha spezzato un paese e anche la sua famiglia: "Io sono nato a Vukovar, i croati erano maggioranza, noi serbi minoranza. Nel 1991 c’era la caccia al serbo: gente che per anni aveva vissuto insieme da un giorno all’altro si sparava addosso. Il mio migliore amico ha devastato la mia casa. Quando i miei genitori hanno lasciato Vukovar per Belgrado, mio zio, croato e fratello di mia madre, le ha telefonato: 'Perché sei scappata? Dovevi rimanere qui, così ammazzavamo tuo marito, quel porco serbo di merda'. Mesi dopo mio zio fu catturato da Arkan, stava per essere ucciso, ma gli trovarono addosso il mio numero di cellulare. Mi chiamarono, e riuscii a salvargli la vita". L'ultima volta che Mihajlovic è stato nella sua Vukovar è stato nel 1991: "Era rasa al suolo, non riuscivo neanche a orientarmi. Solo scheletri di palazzi e macchine ammassate per creare trincee. Spettrale. Ricordo lo sguardo di due ragazzini di 10 anni, imbracciavano i mitra. Avevano occhi da uomini in corpi da bambini. Occhi tristi che avevano già visto tutto, tranne l'infanzia. Non sono più tornato a Vukovar". La guerra con tutti gli orrori che si porta dietro; come quando a Roma, Sinisa apre il Messaggero e vede la foto di due persone che conosce, ormai cadaveri con il titolo 'Due croati uccisi da cecchini serbi'. "Uno aveva una pallottola in fronte. Era un mio caro amico, serbo. Lì ho capito, su di noi hanno raccontato tante cose. Troppe non vere".
E' un nostalgico di Tito; "Slavi, cattolici, ortodossi, musulmani: solo il generale è riuscito a tenere tutti insieme, del blocco dei Paesi dell’Est la Jugoslavia era il migliore. I miei erano gente umile, operai, ma non ci mancava niente. Con lui la Jugoslavia era il paese più bello del mondo, insieme all’Italia che io amo e che oggi si sta rovinando", ma non è un fascista ("sono più comunista di tanti") piuttosto un nazionalista se significa "amare la mia terra e la mia nazione".

Uno con le idee chiare Mihajlovic; durante la sua parentesi da C.T. serbo escluse il talentuoso Adem Ljajic perché non cantava l'inno insieme ai compagni. Ljajic è figlio di bosniaci e di religione mussulmana, ma le regole fissate da Mihajlovic erano chiare, niente inno, niente convocazioni: "Avevamo una Nazionale fortissima: ma ognuno faceva come voleva, per questo non vincevamo niente. Ho capito dopo che la disciplina è fondamentale".

Ha dato del "negro di merda" a Patrick Viera, ha sputato ad Adrian Mutu e si è preso a testate con Ibrahimovic e curiosamente se li è sempre ritrovati in squadra durante la sua carriera da allenatore. E' sceso in campo con una maglietta con disegnato un bersaglio come protesta contro i bombardamenti del 1999. Ha definito Ratko Mladic un grande guerriero che combatte per il suo popolo. Personaggio controverso ma mai banale, questo è sicuro, totalmente diverso dalla maggior parte dei suoi colleghi.

9 ottobre 1999, ultima gara per la qualificazione agli Europei. Dentro o fuori. "Lo stadio di Zagabria era un vulcano. Polizia ovunque. Avevamo ancora la guerra sulla pelle. In campo c'erano tanti ex compagni della vecchia Nazionale. Stavolta uno contro l'altro. Io ero uno di loro...". Il campo di gioco è una bolgia: guardo verso la curva croata, c'è uno striscione 'Vukovar 1991', la città simbolo della guerra, dove sono nato e cresciuto. Mi avvicino, mi inginocchio e mi faccio il segno della croce per ricordare i serbi caduti. Lo stadio per poco non viene giù. Mi urlano di tutto. Ma ogni volta che batto una punizione o un calcio d'angolo non vola una mosca per il timore. Prendo un palo, una traversa e faccio due assist per i gol di Mijatovic e Stankovic: 2-2, qualificazione ed eliminazione della Croazia. Sui giornali serbi prendo 10 in pagella. Quella resta la partita più sentita della mia carriera, non la dimenticherò mai".

Fonti: Gazzetta dello sport - Corriere della Sera

domenica 19 ottobre 2014

I Balcani, il calcio e la politica (2/3)

Dopo il primo capitolo dedicato alla turbolenta storia degli ultimi anni della Jugoslavia, concentrandoci sul comandante Arkan. Approfondiamo la sua figura perché di lui si parlerà diffusamente (anche) nell'Italia calciofila di fine millennio.
Arkan e le sue Tigri
Nato nel 1952, Zeljko Raznatovic figlio di un colonnello dell'esercito slavo, a 9 anni scappa di casa, a 18 viene arrestato per la prima volta. Nel 1973 viene arrestato in Belgio e condannato a 10 anni per rapina a mano armata ma riesce ad evadere nel luglio 1979. Ad ottobre è di nuovo in carcere dopo due rapine in Svezia e altre tre in Olanda nel giro di brevissimo tempo; recluso nel carcere di Amsterdam, nel 1981 evade per la seconda volta. Altro paese (Germania), altra rapina, altro arresto e nuova evasione! Prima del ritorno in Jugoslavia, un'ultima impresa nel 1983: arrestato a Basilea e fuggito due mesi dopo, la sua quarta evasione!

Come abbiamo visto, il suo nazionalismo e la sua sete di violenza, trovano terreno fertile nel mondo del calcio: la Guardia Nazionale Serba nasce proprio così, tra gli spalti di uno stadio di calcio di Belgrado. Quelli che in seguito diventeranno famosi come le Tigri, sono nati guardando le partite della Stella Rossa e usando come punto di ritrovo una pasticceria che il club aveva donato all'influente Arkan.
Durante la guerra non si contano gli omicidi e le incredibili brutalità messe in atto dal gruppo di Arkan, tra queste ricordiamo: i genocidi di Prijedor (20.000 morti stimati), Sanksi Most, Visegrad (città bosniaca al confine con la Serbia e dove Arkan uccise centinaia di mussulmani, bruciati vivi oppure lanciati dal ponte che attraversa il fiume Drina, pratica passata tristemente alla storia come il lancio del mussulmano) e quello di Srebenica del 1995 insieme alle truppe di Ratko Mladic...

Finita la guerra, Arkan si stabilisce a Belgrado, dove ama ostentare il lusso frutto di anni di rapine, saccheggi e traffici illegali. Nel 1996 diventa anche presidente di una squadra di calcio serba, l'FK Obilic, piccola squadra di Belgrado. L'arrivo del potente Arkan cambia la storia di un club che fino ad allora non è mai stato influente; addirittura nel 1998 la squadra vince il primo (e unico) campionato della sua storia. Tuttavia, secondo quanto scritto dal giornalista americano Franklin Foer, Arkan minacciava i giocatori delle squadre avversarie dell'Obilic, aiutato dai suoi scagnozzi. Un giocatore ha rilasciato un'intervista nella quale rivelava al magazine FourFourTwo di essere stato rinchiuso in un garage mentre la sua squadra affrontava l'Obilic. Minacciata l'esclusione dalle competizioni UEFA, vista la scomoda presenza di Arkan e una sempre più pressante campagna stampa internazionale, fanno desistere il comandante serbo che cede la società alla moglie: una mezza pagliacciata, ma questo basta alla UEFA e la squadra serba può partecipare ai preliminari di Champions League dove sarà sconfitta dalla forte squadra tedesca del Bayern Monaco.
Personaggio interessante anche la moglie di Arkan: nome d'arte Ceca, popstar serba di successo (più di 10 milioni di copie vendute con i suoi cd), più giovane del marito di 21 anni. Si conobbero quando lei cantò in occasione della festa per il terzo anno di attività delle Tigri, Arkan si innamorò e lasciò la sua seconda moglie (Arkan durante la sua vita ebbe 9 figli da 5 differenti donne). Il matrimonio venne celebrato nel 1995, con Arkan in tenuta da generale della prima guerra mondiale alla guida di un corteo di 50 jeep! Dopo anni di pausa, nel 2002 ritorna sulle scene: siliconata, super sexy, un mega concerto con 100.000 presenti ad acclamarla...
Tornando ad Arkan: nel 1998 scrisse una lettera al presidente americano Bill Clinton vista la crescente tensione in Kosovo, avvisandolo del pericolo del fondamentalismo islamico e di non permettere che il terrorismo continui il terrorismo nel territorio serbo; Clinton non ha mai risposto ad Arkan. Nel 1999 iniziano i bombardamenti della NATO che Arkan accusò di colpire anche i civili; quando venne colpito l'edificio che ospitava anche l'ambasciata cinese di Belgrado causando tre giornalisti morti e una crisi diplomatica con il paese orientale, si pensava che da quell'edificio partissero gli ordini di Akan per le sue tigri in Kosovo...

Il 15 gennaio del 2000, dentro il lussuoso Intercontinental Hotel di Belgrado, il giovane Dobrosav Gavric arriva alle spalle di Arkan e fa fuoco con la sua pistola: nonostante una corsa disperata in ospedale, Raznatovic muore tra le braccia della moglie. Rimangono ancora oscuri i motivi del suo assassinio: sicuramente il suo stile di vita lussuoso attirava molte attenzioni, ma l'invidia per le sue ricchezze non sembra proprio il motivo della sua morte. Si è parlato di un contrasto col figlio di Slobodan Milosevic, di un complotto interno al suo gruppo, di legami con la mafia serba, ma probabilmente non si giungerà mai ad una versione definitiva.
Sepolto con onori militari con 20.000 persone che assistono al suo funerale.
Pochi giorni dopo, nella curva Nord degli ultras della Lazio, compare questo striscione:

Il giocatore croato Alen Boksic avrebbe smesso di giocare se avesse visto lo striscione esposto durante la partita: "Sto male, molto male. Sono amareggiato e deluso anche perchè quella scritta viene dai miei tifosi. Hanno reso onore a quello che tutto il mondo considera un criminale di guerra contro il mio popolo. Davvero non si rendono conto di quello che fanno".


Fonti: East JournalWikipedia

venerdì 17 ottobre 2014

I balcani, il calcio e la politica (1/3)

Mai un momento di tranquillità, quando si parla di Serbia, figuriamoci poi quando si giocano le partite ad alto rischio come quelle contro i rivali della Croazia o dell'Albania: e proprio durante una partita con questi ultimi, a partita in corso un drone ha cominciato a sorvolare lo stadio con una bandiera albanese con una scritta inneggiante al Kosovo libero; il Kosovo è uno stato indipendente a maggioranza albanese, ma la Serbia tuttora si rifiuta di riconoscere la sua indipendenza... Il drone si abbassa sempre di più fino a quando la bandiera non è stata ovviamente strappata dal serbo Mitrovic che è stato (altrettanto ovviamente) accerchiato dai giocatori albanesi: è nata una rissa gigantesca, la partita è stata sospesa, il C.T. italiano dell'Albania Gianni De Biasi che accusa la polizia serba di scarsa protezione e si è perfino rivisto sul campo il simpatico Ivan Bogdanov detto Ivan il terribile, che quando c'è di mezzo una guerriglia non può proprio mancare.

Una storia travagliata, quella della Serbia e in generale quella della penisola balcanica. Andando indietro di 24 anni, una storia simile. C'era ancora la Jugoslavia, ma stava per scomparire. Troppo profondi i contrasti, le incomprensioni...
13 maggio 1990. E' in programma una partita di calcio, ma l'imponente numero di forze dell'ordine allertate fanno pensare che quella tra i padroni di casa della Dinamo Zagabria e la Stella Rossa Belgrado sia qualcosa di più di una partita, qualcosa di molto più serio. Giusto sei giorni prima, si erano tenute le prime elezioni libere in Croazia che avevano visto trionfare il partito indipendentista del futuro presidente Tudjman, in netta contrapposizione con la Serbia guidata da un leader altrettanto nazionalista ed estremista come Slobodan Milosevic. Si teme che la partita sia l'occasione per gli indipendentisti croati per far valere il risultato elettorale, magari anche con l'uso della forza;  Lo scontro tra le due squadre diventa anche lo scontro tra due tifoserie particolarmente violente: gli ultras della Dinamo, i Bad Blue Boys, contrapposti ai Delije (eroi) serbi, guidati da un tale Zeljko Raznjatovic; in guerra si segnalerà come uno dei più spietati criminali, autore di razzie e genocidi di massa, diventerà famoso con il nome di comandante Arkan, e i suoi fedelissimi vengono chiamati "tigri". Il maresciallo Tito era morto dieci anni prima e la "sua" Jugoslavia si stava disgregando lentamente ma inesorabilmente e le spinte indipendentiste che si credevano esaurite stanno per tornare più dirompenti che mai.

Facciamo un piccolo passo indietro; già l'anno prima (19 marzo 1989), una vittoria della Dinamo Zagabria sul campo del Partizan Belgrado aveva mostrato preoccupanti avvisaglie: i croati salutano la vittoria con lancio di petardi, bengala e fumogeni, i serbi risposero con una sassaiola, fino a quando il tutto non degenera in una guerriglia urbana, con cori nazionalistici in sottofondo.

La partita sportivamente non ha più nulla da dire, la Stella Rossa si è già laureata campione e la Dinamo Zagabria è sicura del secondo posto. Ma lo sport in questa giornata di maggio centra poco. Arkan arriva a Zagabria e subito inizia la sua opera di distruzione, a partire dal treno sul quale viaggiano per arrivare allo stadio. Quando le tigri entrano allo stadio, lo stadio Maksimir è una bolgia, i cori e le offese contro i serbi non si contano, ma questi ultimi non stano certo a guardare e rispondono con lo slogan "Zagabria è Serbia"; il clima è incandescente e quando i Delije cominciano a sfasciare i pannelli pubblicitari, a lanciare seggiolini in campo e a massacrare i pochi tifosi della Dinamo che hanno provato ad affrontarli nelle tribune adiacenti, è il segnale che la bomba può esplodere. Gli ultras croati cercavano solo un pretesto per entrare in azione e imbufaliti per il mancato intervento della polizia (in maggioranza serba), cominciano a sfondare i cancelli per andare allo scontro frontale; ma i poliziotti questa volta intervengono e rispondono ai lanci di pietre con manganelli e gas lacrimogeni. I pompieri cercano di disperdere i BBB croati con i getti d'acqua, mentre scoppiano dei tafferugli anche nelle zone adiacenti allo stadio.
Di pallone se ne parla magari un'altra volta, la partita è ovviamente sospesa, anzi non è nemmeno cominciata. Ma quando scoppiano i disordini, qualche giocatore della Dinamo si trova sul terreno di gioco. Sebbene abbia solo 21 anni, Zvonomir Boban è il capitano della squadra di Zagabria, merito del suo talento e di un caratterino da prendere con le molle. In qualità di capitano, anche lui si ritrova sul campo per tentare di calmare gli animi, ma il compito non è per niente facile. Per difendere un giovane tifoso della Dinamo, il giovane calciatore sferra un calcio volante ad uno degli agenti, ecco il racconto dello stesso Boban: "Ho reagito ad una grande ingiustizia, così chiara che uno non poteva rimanere indifferente...'State massacrando dei bambini', gridai...Il poliziotto mi colpì due volte urlando: 'Brutto figlio di puttana. Sei come tutti gli altri!' A quel punto ebbi una reazione d'istinto. Gli fratturai la mascella con una ginocchiata".

La foto è diventata un simbolo, molti considerano quel momento come l'inizio della guerra. Addirittura venne eretto un monumento davanti allo stadio di Zagabria: "Ai sostenitori della squadra che sui questo terreno iniziarono la guerra contro la Serbia il 13 maggio 1990". Un simbolo, qualcosa da ricordare (per i croati), qualcosa da dimenticare (per i serbi). Solo tempo dopo, venne rintracciato il poliziotto aggredito da Boban, che non è serbo bensì un bosniaco mussulmano (una delle razze più perseguitate durante la guerra), che in seguito perdonò il gesto di Boban perché "erano giorni in cui le persone parevano cieche". Il giocatore rischiò anche l'arresto, ma alla fine arrivò "solo" una squalifica che tuttavia gli impedì di partecipare ai Mondiali di Italia '90 l'estate successiva.
Il 26 settembre 1990, prima giornata dell'ultimo campionato jugoslavo della storia, vede in programma Partizan Belgrado - Hajduk Spalato. Il Partizan segna due reti e a quel punto, gli ultras croati invadono il campo chiedendo la nascita della federazione croata di calcio e riescono ad ammainare la bandiera jugoslava, issando quella croata. Nel giugno 1991 Slovenia e Croazia dichiarano la loro indipendenza rendendo esplicito un conflitto che covava sotto la cenere già da diversi anni, come gli episodi legati al calcio hanno dimostrato.

Il primo incontro dopo la fine della guerra tra Serbia (che allora si chiamava ancora Jugoslavia) e Croazia avvenne il 18 agosto 1999. Si gioca al Marakana di Belgrado, casa della Stella Rossa. Non si verificarono episodi di violenza, c'è stato un black out di qualche minuto all'inizio del secondo tempo e come ricorda il difensore Slaven Bilic (futuro C.T. croato) "l'unica cosa che si vedeva erano i puntatori a infrarossi dei fucili dei cecchini"; quando risuonò nello stadio l'inno croato, mentre i giocatori cantavano abbracciati, i cinquantamila spettatori serbi presenti alzarono tutti il dito medio. Troppo recenti le ferite della guerra per far finta di niente...

(Fonti: SportVintage - East Journal)

giovedì 9 ottobre 2014

COPPIE MAGICHE - Thierry Henry & David Trezeguet

Una delle coppie gol meglio combinate della storia del calcio. Thierry Henry e David Trezeguet hanno rappresentato l'accoppiata ideale per gli allenatori: tecnico, veloce e capace di spaziare su tutto il campo il primo, micidiale colpitore di testa e killer dell'area di rigore il secondo.

Henry venne lanciato giovanissimo (appena diciasettenne) nella stagione 1994 da Arsène Wenger che poi sarà ben felice di acquistarlo cinque anni dopo per portarselo all'Arsenal;
Trezeguet, è figlio dell'ex difensore argentino Jorge, che spese tre anni della sua carriera in Francia a Rouen (città dove nacque il figlio David nel 1977). Inizia a giocare nel paese natio del padre per la squadra argentina del Platense, salvo poi ritornare in Francia nel 1995 paese che poi deciderà di rappresentare declinando la proposta della federazione argentina. Per anni sono stati l'inamovibile coppia titolare della nazionale francese...



Insieme vincono due titoli nel 1997 e nel 2000, riportando il Monaco tra le grandi del campionato francese. Curiosamente tutti e due, dopo la comune esperienza nel Principato, vennero acquistati dalla Juventus ma con un percorso totalmente diverso; Henry viene ricordato come una delle più grandi beffe della storia bianconera, una mezza stagione da oggetto misterioso e schierato spesso fuori ruolo dall'allenatore Carlo Ancelotti, prima di essere venduto all'Arsenal dove giocherà...benino (228 gol in 377 presenze). Trezeguet venne acquistato nell'estate 2000 quando solamente pochi giorni prima aveva regalato alla Francia il titolo europeo con il primo (e per fortuna unico) caso di "golden goal" proprio contro l'Italia. Arrivato con numeri migliori di quelli di Henry, ha vinto le iniziali diffidenze dell'ambiente (si temeva un Henry 2, ovvero un altro oggetto misterioso) diventando il migliore marcatore straniero nella storia del club con 171 reti...