martedì 30 dicembre 2014

SLIDING DOORS - L'errore di Pippo

4 novembre 2001. Il Torino sta vincendo grazie ad una rete di Cristiano Lucarelli. Ma lo stadio Delle Alpi trema: c'è un rigore per il Milan e sul dischetto si presenta Pippo Inzaghi.


Il portiere Bucci è spiazzato ma il pallone finisce in curva, vince il Toro. 
Pochi giorni dopo finisce anche l'avventura sulla panchina rossonera dell'allenatore turco Fatih Terim, che solo pochi mesi prima era stato accolto da fanfare e squilli di trombe. 
Per il successore il diktat è chiaro, "il Milan ai milanisti" e Galliani si fionda su Carlo Ancelotti reduce da due secondi posti, un esonero e una marea di insulti e contestazioni alla guida della Juventus. In pochi anni alla guida del Milan arrivano due Champions League di cui una vinta proprio contro i bianconeri. 

Difficilmente Terim avrebbe proseguito a lungo la sua avventura a Milano, ma sicuramente il rigore sbagliato di Inzaghi ha in qualche modo contribuito ad accelerare il divorzio e a creare un legame unico e vincente come quello tra Ancelotti e il Milan...sliding doors...

venerdì 5 dicembre 2014

Stadi di calcio - Parc des Princes

Nome: Parc des Princes

Anno di inaugurazione: 1897

Capienza: 47.929

Situato nel 16° arrondissement, zona ovest di Parigi, rive droite, è la casa del Paris Saint-Germain che ne ha fatto la sua base dal 1973, un anno dopo l'ultimo restauro dello stadio. Inizialmente infatti era nato come velodromo e per 54 volte è stato utilizzato come arrivo del Tour di France prima che la passerella finale venisse spostata sugli Champs-Elysées.



Una delle atmosfere più suggestive di tutta Francia, grazie anche al tetto che contribuisce a rendere un ottima acustica (infatti lo stadio ospita anche numerosi concerti) e grazie ai tifosi (la "caisse de réssonance" come li chiamano i giornalisti francesi), soprattutto quando intonano il canto "Ici c'est Paris!". Temibile la Kop of Boulogne, situata a destra sia in senso geografico (al lato destro della tribuna presidenziale), sia in senso politico anche se ultimamente gli episodi di razzismo sembrano in diminuzione. Come il nome lascia intendere, nacque in emulazione dei gruppi hooligan inglesi, in particolare a quelli del Liverpool (la Kop è la gradinata degli ultras, una delle curve più famose al mondo)

Fino al 1998 ha ospitato le partite delle nazionali di calcio e rugby, prima di venire soppiantato dallo Stade de France costruito proprio in occasione dei Mondiali 1998. Attualmente, oltre al PSG, vengono ospitate saltuariamente anche alcune partite di una importante squadra di rugby di Parigi, lo Stade Français.



Tante le partite importanti che sono state giocate in questo stadio. Sicuramente i francesi ricordano con piacere la finale dell'Europeo 1984, primo trofeo vinto dai transalpini grazie alle reti di Platini e Bellone. Gli italiani probabilmente si ricordano del Parco perché sede della finale di coppa Uefa 1998 tra Inter e Lazio, finita 3-0 con reti spettacolari di Zamorano, Zanetti e Ronaldo (scatto fulmineo, finta di corpo per saltare Marchegiani e palla depositata in rete).



Da dimenticare invece quanto successo il 17 novembre 1993. Al Parco arriva la Bulgaria di Hristo Stoichkov. La Francia dopo aver mancato la qualificazione al Mondiale del 1990 e dopo una pessima figura rimediata all'Europeo 1992, deve solamente non perdere contro i bulgari. Un gol di Eric Cantona sembra di buon auspicio, ma sale alla ribalta il comprimario bulgaro Emil Kostadinov; la seconda rete la firma all'ultimo minuto di gioco del secondo tempo e per i francesi comincia il drammone...5 anni dopo la Francia conquisterà i Mondiali, ma allo Stade de France e il Parco dei Principi passa un po' in secondo piano, almeno fino a quando il PSG non rientra a far parte dei migliori club europei.

Puntate precedenti: Westfalenstadion

lunedì 1 dicembre 2014

FIGURINE - Anselmo Robbiati

Nato nel 1970, Anselmo Robbiati è stato uno dei giocatori più entusiasmanti del calcio italiano. Nato e cresciuto nelle giovanili del Monza, segue tutta la trafila prima di debuttare in prima squadra nel 1987. A quei tempi la squadra lombarda si trovava in serie C e Robbiati gioca per sei stagioni nella squadra della sua città per un totale di 20 reti in 135 partite.
Nel 1993, arriva il momento di cambiare aria. Complice la retrocessione della Fiorentina in serie B, c'è la concreta possibilità di giocare in una piazza importante e di misurarsi in un campionato più competitivo. Robbiati coglie l'occasione al volo e diventa uno dei giocatori fondamentali della squadra che riconquista immediatamente la serie A. Con i viola, vive gli anni migliori della sua carriera, all'interno di una squadra che presentava individualità formidabili (Batistuta, Rui Costa e Toldo su tutti) e si ritagliò il ruolo di giocatore che partiva dalla panchina e cambiava le partite. La sua velocità di base, unita ad una tecnica sopraffina gli consentiva di superare costantemente il suo marcatore, molto pericoloso anche sui calci di punizione. E' il prototipo di giocatore perfetto per Firenze, città che ama il talento ed i giocatori talentuosi, capaci di giocate spettacolari ed imprevedibili e Robbiati rientra senza alcun dubbio in questa categoria. Amato anche per un gol molto bello segnato nella partita più importante della stagione, quella contro la Juventus. Stagione 97-98, i viola si impongono per 3-0 e uno dei gol lo segna proprio Robbiati con un fantastico sinistro a giro che incenerisce il bianconero Peruzzi per l'esplosione di gioia dello stadio Franchi.
Nel 1999 venne acquistato dal Napoli, poi Inter (ma non scenderà mai in campo), Perugia, di nuovo Fiorentina e Ancona, prima del ritorno nelle categorie inferiori...
Soprannominato 'Spadino', il perché lo spiega lui stesso: "Ero giovanissimo, giocavo nel Monza e con me c'era Giovanni Stroppa. Un giorno arrivò, mi vide con un giubbotto stretto di pelle e mi etichettò così: Spadino, come il cugino di Fonzie in Happy Days. Pensavo che col tempo, cambiando squadra, l'avrei perso. Invece i vari giornalisti hanno sempre continuato a chiamarmi così".

sabato 29 novembre 2014

INTERNATIONALS - Mateja Kezman

Il calcio italiano anni '90 è stato una pura goduria per tutti noi appassionati: non ci potevamo certo lamentare visto il numero impressionante di calciatori fenomenali transitati nel nostro paese. Erano anni in cui era molto probabile che il vincitore del Pallone d'oro giocasse per una squadra italiana o ci avrebbe giocato entro pochi anni. Nonostante questo, ci sono diversi giocatori che avrei voluto vedere in Serie A, cosa che purtroppo non si è mai verificata. In questa rubrica periodica, vi svelerò i miei rimpianti calcistici...

Chiariamo subito. Mateja Kezman non sarà ricordato tra i migliori calciatori di sempre. Anche se dotato di una discreta tecnica, non rubava particolarmente l'occhio. Ma è stato (almeno fino ad un certo punto della sua carriera), un bomber spietato, una specie di Pippo Inzaghi.
Nato a Belgrado nel 1979, comincia la carriera professionista nel FK Smederevo prima di essere acquistato nel 1998 dal Partizan Belgrado. Le sue prestazioni convincono la dirigenza degli olandesi del PSV Eindhoven a sborsare dieci milioni di euro per il suo cartellino. Al primo anno arriva subito il titolo di capocannoniere con 24 reti; resta in Olanda fino al 2004, mettendo insieme la bellezza di 105 gol in 122 presenze. Da segnalare il suo soprannome, Batman, che insieme all'ala olandese Arjen Robben formava la coppia Batman & Robben! Ad ogni gol di Kezman nello stadio del PSV partiva la sigla di Batman come omaggio al goleador serbo...

Mateja Kezman ai tempi del Partizan Belgrado
L'acquisto da parte del Chelsea del patron russo Abramovich sembra il preludio alla consacrazione del giocatore in uno dei più prestigiosi campionati europei. Scelto da José Mourinho non riesce a trovare molto spazio, anche perché la concorrenza è spietata: la coppia formata da Eidur Gudjohnsen e Didier Drogba monopolizza l'attenzione e Kezman deve accontentarsi di un ruolo di secondo piano. Alla fine sommerà 24 presenze ma ben 18 subentrando dalla panchina, con 4 reti; segna anche una rete decisiva per la conquista della League Cup contro il Liverpool, ma rispetto al bomber visto in Olanda il giudizio è largamente insufficiente.
Proverà a rilanciarsi con l'Atletico Madrid l'anno successivo, ma l'unico momento da ricordare sarà solo uno splendido gol ti tacco segnato durante un derby contro il Real. Troppo poco per guadagnarsi la riconferma, anche se un fastidioso infortunio ad un ginocchio e la presenza ingombrante di Fernando Torres hanno sicuramente influito sulle sue prestazioni. Kezman ricomincia a girare per l'Europa: Fenerbahçe dal 2006 al 2008, Paris Saint-Germain, Zenit San Pietroburgo, di nuovo a Parigi, prima di South China (club di Hong Kong!) e BATE Borisov. Nel 2011 si ritira: troppi gli infortuni e troppo basso il rendimento negli ultimi anni.
Peccato, perché l'inizio della carriera di Kezman lasciava intuire una carriera molto differente...

giovedì 30 ottobre 2014

R.I.P. - Klas Ingesson

Mi ricordo uno svedese alto (1,90) e grosso (86 kg). D'altronde Bologna è la città delle torri.

Mi ricordo di aver pensato che con lui in mediana a coprire Marocchi e l'altro svedese Andersson in attacco si poteva fare qualche bel campionato.

Mi ricordo la maglietta sempre a maniche corte. Sempre. Primavera, estate, autunno, inverno.

In tackle su Gattuso
Mi ricordo il numero 8 sulla maglietta.

Mi ricordo che pensavo che l'8 in teoria spetterebbe ai giocatori "buoni".

Mi ricordo come ci ho messo pochissimo a convincermi che fosse un giocatore buono, anche se i piedi non erano quelli di Kolyvanov.

Mi ricordo un rigore che ha fatto retrocedere la Sampdoria in serie B, segnato con la professionalità che tutti dovrebbero mostrare anche nelle ultime gare di campionato.

Mi ricordo che a Bologna lo avevamo soprannominato "taglialegna", perché una volta un giornalista lo aveva chiamato, ma lui si era negato visto che stava davvero tagliando gli alberi!

Mi ricordo che Eugenio Fascetti lo nominò capitano del Bari. "Ma mister, non parlo italiano". "Fa niente" rispose Fascetti, "fallo col cuore".

Scambio di gagliardetti con Antonio Conte
Mi ricordo che venne acclamato come un eroe insieme ai suoi compagni, dopo il terzo posto della Svezia al mondiale USA '94.

Mi ricordo che disse: "Ho mollato per 10 secondi,quando mi dissero 'hai il cancro'. Poi ho ricominciato a lottare come facevo in campo. Ora ce la sto facendo, il cancro è più piccolo di me, ha sbagliato corpo". Ci eravamo illusi tutti.

Mi ricordo il paradosso di un così poderoso giocatore costretto sulla sedia a rotelle a causa dell'osteoporosi, le ossa che diventano fragili come cristalli. Il braccio fratturato e il femore rotto dopo banali cadute. Ho saputo solo oggi che una settimana fa aveva rassegnato le dimissioni da allenatore dell'Elfsborg. Eppure continuava a progettare il futuro della squadra, faceva progetti . La dirigenza sapeva dell'aggravarsi della sua situazione, ma lui non voleva creare problemi al club. Come se il cancro l'avessero loro. "La malattia mi fa stare troppo male per il momento e non voglio che l’attenzione stia su di me. Devo pensare al meglio della squadra".

Mi ricordo che avevo un idolo quando ero piccolo.

Mi ricordo il coro ritmato dello stadio: Klas Klas Ingesson! Klas Klas Ingesson!

Mi ricorderò per sempre di Klas Ingesson, grande campione venuto dalla Svezia.

Ciao Klas

lunedì 27 ottobre 2014

L'Alcorconazo

Uno dei momenti peggiori nella gloriosa storia del Real Madrid. Cinque anni sono passati, ma il ricordo (anzi, l'incubo) è sempre ben presente nella mente dei tifosi madrileni.
Il 27 ottobre 2009, il Real del mister Manuel Pellegrini deve affrontare i 32esimi della Copa del Rey. In programma prevedeva la trasferta sul campo dell'Alcorcon, squadra della terza serie spagnola e situata nella periferia di Madrid, un piccolo derby; teatro del match è il piccolo Estadio Santo Domingo, capienza di 3000 spettatori, ovviamente tutto esaurito in occasione della partita contro i giganti del Real.

Doveva essere una passeggiata per il Real, invece l'Alcorcon massacra letteralmente i blancos: tre reti nei primi 45 minuti, quattro reti totali; i giocatori del Real sembrano in bambola, sul campo la differenza di più di 109 milioni di euro (110 contro poco meno di 1 milione) per gli stipendi dei giocatori non si nota e pazienza se lo stipendio medio dei giocatori dell'Alcorcon è di 36.000 €, quelli che Cristiano Ronaldo guadagnava in un giorno; il vero fenomeno sembra Borja Pérez (doppietta) mentre la squadra con in campo Raul, Benzema e Van der Vaart è totalmente incapace di produrre una qualsiasi reazione, una giocata, niente...

Questo il tabellino della partita:
Alcorcón - Juanma; Rubén Sanz, Iñigo López, Borja Gómez, Nagore; Rubén Sanz; Ernesto Gómez (Jeremy 65'), Sergio Mora, Fernando Bejar (Carmelo 75'); Diego Cascó, Borja Pérez (Bravo 82').
Real Madrid - Dudek; Arbeloa, Albiol, Metzelder, Drenthe; Mahamadou Diarra, Guti (Gago 46'), Van der Vaart; Granero (Marcelo 63'); Raúl (Van Nistelrooy 72'), Benzema.
Reti: 16' Borja Pérez, 22' Arbeloa (autogol), 40' Ernesto, 52' Borja Pérez.

Le azioni salienti della partita:



Ovviamente i giornali spagnoli non si fanno sfuggire l'occasione e vanno giù duro per quella che ad oggi è sicuramente la peggiore disfatta del Real Madrid.






domenica 26 ottobre 2014

Il ritiro di Marco Di Vaio

Cresciuto nelle giovanili della Lazio, dove non hanno mai creduto fino in fondo in lui, si trasferisce a Salerno, serie B, per una cifra (allora) record di 5 milioni di lire. Vincerà il titolo di capocannoniere e la Salernitana torna in serie A per la seconda volta nella sua storia. La stagione successiva Marco Di Vaio segna 12 reti ma la squadra campana non riesce a salvarsi. Per il giocatore però è il trampolino verso una grande carriera. Parma, Juventus, Valencia, Monaco, Genoa, prima dei quattro anni a Bologna, quando arriva 32enne e si pensa agli sgoccioli della carriera. Invece realizzerà altre 65 reti in 143 partite alla faccia di chi lo dava per finito e per la gioia dei tifosi e dei fanta-allenatori che puntavano fiduciosamente su di lui. Alla fine saranno 142 le reti in Italia (e 267 in carriera), come Pulici e Vieri. Finisce la carriera in Canada, al Montreal Impact, con un gol (ovviamente) e una standing ovation. A cui mi associo anche io. 

Marco Di Vaio esulta per un gol, dietro di lui Salvatore Fresi


martedì 21 ottobre 2014

I Balcani, il calcio e la politica (3/3)

Prima puntata: gli scontri tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa e il preludio della guerra
Seconda puntata: il ruolo del comandante Arkan

Ultimo post di questo viaggio nei tormentati Balcani e stavolta si parla di uno dei calciatori più carismatici e controversi usciti da quella ragione: Sinisa Mihajlovic.
Nato a Vukovar nel 1969, cresce nella Vojvodina prima di essere comprato dalla Stella Rossa nell'inverno 1991; nella squadra di Belgrado vince anche una coppa dei Campioni e una coppa Intercontinentale, prima di finire in quello che vent'anni fa era certamente il sogno di buona parte dei calciatori: il campionato italiano! Ecco allora Mihajlovic che viene acquistato dalla Roma; due stagioni in giallorosso, poi Sampdoria fino al 1998 quando i blucerchiati retrocedono in serie B. Torna a Roma, questa volta però con la casacca della Lazio: sei stagioni entusiasmanti, nonostante l'età non più verdissima. Per chiudere i due anni all'Inter, più con un ruolo di chioccia all'interno dello spogliatoio che giocatore, fino a quando al termine della stagione 2006 appende gli scarpini al chiodo.
Capace di segnare 97 reti in carriera, una cifra sbalorditiva per un difensore! Merito soprattutto dei suoi calci da fermo, rigori e soprattutto punizioni; ha anche stabilito il record di reti segnate su punizione in una partita, 3 in occasione di un Lazio-Sampdoria finito 5-2 (eguagliato il record che curiosamente deteneva in precedenza un altro laziale, Beppe Signori che in un Lazio-Atalanta 3-1 del 1994 segnò due punizioni di seconda e una punizione diretta, mentre Mihajlovic ha realizzato tutte le sue tre reti con punizioni dirette). Nato come centrocampista esterno, in Italia ha progressivamente arretrato il raggio d'azione fino a trovare la sua collocazione naturale col mister Sven-Göran Eriksson che alla Samp lo schiera per la prima volta al centro della difesa dove può sfruttare il suo lancio millimetrico e il suo senso della posizione che compensa la scarsa velocità.

Un giovane Mihajlovic e Arkan
Ma Mihajlovic è un personaggio che oltre alle sue giocate sul campo da calcio, ha fatto discutere per le sue prese di posizione. La questione più spinosa: l'amicizia con il comandante Arkan e con Slobodan Milosevic (tutti e due accusati di crimini contro l'umanità). Nel post precedente, avevo accennato allo striscione dedicato dai tifosi di destra della Lazio alla memoria di Arkan ("Onore alla tigre Arkan") subito dopo la sua morte e della reazione del croato Boksic, compagno di squadra di Mihajlovic. Si dice addirittura che lo striscione sia stato commissionato direttamente da Sinisa; quello che è certo è che il giocatore fece uscire un necrologio su un giornale serbo per l'amico assassinato. A distanza di anni il giocatore ricorda così quel momento: "Lo rifarei il necrologio perché Arkan era un mio amico: lui è stato un eroe per il popolo serbo. Era un mio amico vero, era il capo degli ultras della Stella Rossa quando io giocavo lì. Io gli amici non li tradisco né li rinnego. Conosco tanta gente, anche mafiosi, ma non per questo io sono così. Rifarei il suo necrologio e tutti quelli che ho fatto per altri, Da fuori, seduti in poltrona, è stato facile puntare il dito". Ancora su Arkan: "Non rinnego quel necrologio, ma non difendo i suoi crimini. Quelli restano. Sono orribili. E li condanno. Come tutti i crimini commessi, da una parte e dall'altra. In una guerra civile non esistono i buoni e i cattivi".

Altra amicizia scomoda, quella con Milosevic: "Ci ho parlato tre-quattro volte. Aveva una mia maglietta della Stella Rossa di Belgrado e mi diceva 'Sinisa se tutti i serbi fossero come te ci sarebbero meno problemi in questa terra'. So dei crimini attribuiti a Milosevic, ma nel momento in cui la Serbia viene attaccata, io difendo il mio popolo e chi lo rappresenta". Parole importanti, così come quando parla della guerra civile che ha spezzato un paese e anche la sua famiglia: "Io sono nato a Vukovar, i croati erano maggioranza, noi serbi minoranza. Nel 1991 c’era la caccia al serbo: gente che per anni aveva vissuto insieme da un giorno all’altro si sparava addosso. Il mio migliore amico ha devastato la mia casa. Quando i miei genitori hanno lasciato Vukovar per Belgrado, mio zio, croato e fratello di mia madre, le ha telefonato: 'Perché sei scappata? Dovevi rimanere qui, così ammazzavamo tuo marito, quel porco serbo di merda'. Mesi dopo mio zio fu catturato da Arkan, stava per essere ucciso, ma gli trovarono addosso il mio numero di cellulare. Mi chiamarono, e riuscii a salvargli la vita". L'ultima volta che Mihajlovic è stato nella sua Vukovar è stato nel 1991: "Era rasa al suolo, non riuscivo neanche a orientarmi. Solo scheletri di palazzi e macchine ammassate per creare trincee. Spettrale. Ricordo lo sguardo di due ragazzini di 10 anni, imbracciavano i mitra. Avevano occhi da uomini in corpi da bambini. Occhi tristi che avevano già visto tutto, tranne l'infanzia. Non sono più tornato a Vukovar". La guerra con tutti gli orrori che si porta dietro; come quando a Roma, Sinisa apre il Messaggero e vede la foto di due persone che conosce, ormai cadaveri con il titolo 'Due croati uccisi da cecchini serbi'. "Uno aveva una pallottola in fronte. Era un mio caro amico, serbo. Lì ho capito, su di noi hanno raccontato tante cose. Troppe non vere".
E' un nostalgico di Tito; "Slavi, cattolici, ortodossi, musulmani: solo il generale è riuscito a tenere tutti insieme, del blocco dei Paesi dell’Est la Jugoslavia era il migliore. I miei erano gente umile, operai, ma non ci mancava niente. Con lui la Jugoslavia era il paese più bello del mondo, insieme all’Italia che io amo e che oggi si sta rovinando", ma non è un fascista ("sono più comunista di tanti") piuttosto un nazionalista se significa "amare la mia terra e la mia nazione".

Uno con le idee chiare Mihajlovic; durante la sua parentesi da C.T. serbo escluse il talentuoso Adem Ljajic perché non cantava l'inno insieme ai compagni. Ljajic è figlio di bosniaci e di religione mussulmana, ma le regole fissate da Mihajlovic erano chiare, niente inno, niente convocazioni: "Avevamo una Nazionale fortissima: ma ognuno faceva come voleva, per questo non vincevamo niente. Ho capito dopo che la disciplina è fondamentale".

Ha dato del "negro di merda" a Patrick Viera, ha sputato ad Adrian Mutu e si è preso a testate con Ibrahimovic e curiosamente se li è sempre ritrovati in squadra durante la sua carriera da allenatore. E' sceso in campo con una maglietta con disegnato un bersaglio come protesta contro i bombardamenti del 1999. Ha definito Ratko Mladic un grande guerriero che combatte per il suo popolo. Personaggio controverso ma mai banale, questo è sicuro, totalmente diverso dalla maggior parte dei suoi colleghi.

9 ottobre 1999, ultima gara per la qualificazione agli Europei. Dentro o fuori. "Lo stadio di Zagabria era un vulcano. Polizia ovunque. Avevamo ancora la guerra sulla pelle. In campo c'erano tanti ex compagni della vecchia Nazionale. Stavolta uno contro l'altro. Io ero uno di loro...". Il campo di gioco è una bolgia: guardo verso la curva croata, c'è uno striscione 'Vukovar 1991', la città simbolo della guerra, dove sono nato e cresciuto. Mi avvicino, mi inginocchio e mi faccio il segno della croce per ricordare i serbi caduti. Lo stadio per poco non viene giù. Mi urlano di tutto. Ma ogni volta che batto una punizione o un calcio d'angolo non vola una mosca per il timore. Prendo un palo, una traversa e faccio due assist per i gol di Mijatovic e Stankovic: 2-2, qualificazione ed eliminazione della Croazia. Sui giornali serbi prendo 10 in pagella. Quella resta la partita più sentita della mia carriera, non la dimenticherò mai".

Fonti: Gazzetta dello sport - Corriere della Sera

domenica 19 ottobre 2014

I Balcani, il calcio e la politica (2/3)

Dopo il primo capitolo dedicato alla turbolenta storia degli ultimi anni della Jugoslavia, concentrandoci sul comandante Arkan. Approfondiamo la sua figura perché di lui si parlerà diffusamente (anche) nell'Italia calciofila di fine millennio.
Arkan e le sue Tigri
Nato nel 1952, Zeljko Raznatovic figlio di un colonnello dell'esercito slavo, a 9 anni scappa di casa, a 18 viene arrestato per la prima volta. Nel 1973 viene arrestato in Belgio e condannato a 10 anni per rapina a mano armata ma riesce ad evadere nel luglio 1979. Ad ottobre è di nuovo in carcere dopo due rapine in Svezia e altre tre in Olanda nel giro di brevissimo tempo; recluso nel carcere di Amsterdam, nel 1981 evade per la seconda volta. Altro paese (Germania), altra rapina, altro arresto e nuova evasione! Prima del ritorno in Jugoslavia, un'ultima impresa nel 1983: arrestato a Basilea e fuggito due mesi dopo, la sua quarta evasione!

Come abbiamo visto, il suo nazionalismo e la sua sete di violenza, trovano terreno fertile nel mondo del calcio: la Guardia Nazionale Serba nasce proprio così, tra gli spalti di uno stadio di calcio di Belgrado. Quelli che in seguito diventeranno famosi come le Tigri, sono nati guardando le partite della Stella Rossa e usando come punto di ritrovo una pasticceria che il club aveva donato all'influente Arkan.
Durante la guerra non si contano gli omicidi e le incredibili brutalità messe in atto dal gruppo di Arkan, tra queste ricordiamo: i genocidi di Prijedor (20.000 morti stimati), Sanksi Most, Visegrad (città bosniaca al confine con la Serbia e dove Arkan uccise centinaia di mussulmani, bruciati vivi oppure lanciati dal ponte che attraversa il fiume Drina, pratica passata tristemente alla storia come il lancio del mussulmano) e quello di Srebenica del 1995 insieme alle truppe di Ratko Mladic...

Finita la guerra, Arkan si stabilisce a Belgrado, dove ama ostentare il lusso frutto di anni di rapine, saccheggi e traffici illegali. Nel 1996 diventa anche presidente di una squadra di calcio serba, l'FK Obilic, piccola squadra di Belgrado. L'arrivo del potente Arkan cambia la storia di un club che fino ad allora non è mai stato influente; addirittura nel 1998 la squadra vince il primo (e unico) campionato della sua storia. Tuttavia, secondo quanto scritto dal giornalista americano Franklin Foer, Arkan minacciava i giocatori delle squadre avversarie dell'Obilic, aiutato dai suoi scagnozzi. Un giocatore ha rilasciato un'intervista nella quale rivelava al magazine FourFourTwo di essere stato rinchiuso in un garage mentre la sua squadra affrontava l'Obilic. Minacciata l'esclusione dalle competizioni UEFA, vista la scomoda presenza di Arkan e una sempre più pressante campagna stampa internazionale, fanno desistere il comandante serbo che cede la società alla moglie: una mezza pagliacciata, ma questo basta alla UEFA e la squadra serba può partecipare ai preliminari di Champions League dove sarà sconfitta dalla forte squadra tedesca del Bayern Monaco.
Personaggio interessante anche la moglie di Arkan: nome d'arte Ceca, popstar serba di successo (più di 10 milioni di copie vendute con i suoi cd), più giovane del marito di 21 anni. Si conobbero quando lei cantò in occasione della festa per il terzo anno di attività delle Tigri, Arkan si innamorò e lasciò la sua seconda moglie (Arkan durante la sua vita ebbe 9 figli da 5 differenti donne). Il matrimonio venne celebrato nel 1995, con Arkan in tenuta da generale della prima guerra mondiale alla guida di un corteo di 50 jeep! Dopo anni di pausa, nel 2002 ritorna sulle scene: siliconata, super sexy, un mega concerto con 100.000 presenti ad acclamarla...
Tornando ad Arkan: nel 1998 scrisse una lettera al presidente americano Bill Clinton vista la crescente tensione in Kosovo, avvisandolo del pericolo del fondamentalismo islamico e di non permettere che il terrorismo continui il terrorismo nel territorio serbo; Clinton non ha mai risposto ad Arkan. Nel 1999 iniziano i bombardamenti della NATO che Arkan accusò di colpire anche i civili; quando venne colpito l'edificio che ospitava anche l'ambasciata cinese di Belgrado causando tre giornalisti morti e una crisi diplomatica con il paese orientale, si pensava che da quell'edificio partissero gli ordini di Akan per le sue tigri in Kosovo...

Il 15 gennaio del 2000, dentro il lussuoso Intercontinental Hotel di Belgrado, il giovane Dobrosav Gavric arriva alle spalle di Arkan e fa fuoco con la sua pistola: nonostante una corsa disperata in ospedale, Raznatovic muore tra le braccia della moglie. Rimangono ancora oscuri i motivi del suo assassinio: sicuramente il suo stile di vita lussuoso attirava molte attenzioni, ma l'invidia per le sue ricchezze non sembra proprio il motivo della sua morte. Si è parlato di un contrasto col figlio di Slobodan Milosevic, di un complotto interno al suo gruppo, di legami con la mafia serba, ma probabilmente non si giungerà mai ad una versione definitiva.
Sepolto con onori militari con 20.000 persone che assistono al suo funerale.
Pochi giorni dopo, nella curva Nord degli ultras della Lazio, compare questo striscione:

Il giocatore croato Alen Boksic avrebbe smesso di giocare se avesse visto lo striscione esposto durante la partita: "Sto male, molto male. Sono amareggiato e deluso anche perchè quella scritta viene dai miei tifosi. Hanno reso onore a quello che tutto il mondo considera un criminale di guerra contro il mio popolo. Davvero non si rendono conto di quello che fanno".


Fonti: East JournalWikipedia

venerdì 17 ottobre 2014

I balcani, il calcio e la politica (1/3)

Mai un momento di tranquillità, quando si parla di Serbia, figuriamoci poi quando si giocano le partite ad alto rischio come quelle contro i rivali della Croazia o dell'Albania: e proprio durante una partita con questi ultimi, a partita in corso un drone ha cominciato a sorvolare lo stadio con una bandiera albanese con una scritta inneggiante al Kosovo libero; il Kosovo è uno stato indipendente a maggioranza albanese, ma la Serbia tuttora si rifiuta di riconoscere la sua indipendenza... Il drone si abbassa sempre di più fino a quando la bandiera non è stata ovviamente strappata dal serbo Mitrovic che è stato (altrettanto ovviamente) accerchiato dai giocatori albanesi: è nata una rissa gigantesca, la partita è stata sospesa, il C.T. italiano dell'Albania Gianni De Biasi che accusa la polizia serba di scarsa protezione e si è perfino rivisto sul campo il simpatico Ivan Bogdanov detto Ivan il terribile, che quando c'è di mezzo una guerriglia non può proprio mancare.

Una storia travagliata, quella della Serbia e in generale quella della penisola balcanica. Andando indietro di 24 anni, una storia simile. C'era ancora la Jugoslavia, ma stava per scomparire. Troppo profondi i contrasti, le incomprensioni...
13 maggio 1990. E' in programma una partita di calcio, ma l'imponente numero di forze dell'ordine allertate fanno pensare che quella tra i padroni di casa della Dinamo Zagabria e la Stella Rossa Belgrado sia qualcosa di più di una partita, qualcosa di molto più serio. Giusto sei giorni prima, si erano tenute le prime elezioni libere in Croazia che avevano visto trionfare il partito indipendentista del futuro presidente Tudjman, in netta contrapposizione con la Serbia guidata da un leader altrettanto nazionalista ed estremista come Slobodan Milosevic. Si teme che la partita sia l'occasione per gli indipendentisti croati per far valere il risultato elettorale, magari anche con l'uso della forza;  Lo scontro tra le due squadre diventa anche lo scontro tra due tifoserie particolarmente violente: gli ultras della Dinamo, i Bad Blue Boys, contrapposti ai Delije (eroi) serbi, guidati da un tale Zeljko Raznjatovic; in guerra si segnalerà come uno dei più spietati criminali, autore di razzie e genocidi di massa, diventerà famoso con il nome di comandante Arkan, e i suoi fedelissimi vengono chiamati "tigri". Il maresciallo Tito era morto dieci anni prima e la "sua" Jugoslavia si stava disgregando lentamente ma inesorabilmente e le spinte indipendentiste che si credevano esaurite stanno per tornare più dirompenti che mai.

Facciamo un piccolo passo indietro; già l'anno prima (19 marzo 1989), una vittoria della Dinamo Zagabria sul campo del Partizan Belgrado aveva mostrato preoccupanti avvisaglie: i croati salutano la vittoria con lancio di petardi, bengala e fumogeni, i serbi risposero con una sassaiola, fino a quando il tutto non degenera in una guerriglia urbana, con cori nazionalistici in sottofondo.

La partita sportivamente non ha più nulla da dire, la Stella Rossa si è già laureata campione e la Dinamo Zagabria è sicura del secondo posto. Ma lo sport in questa giornata di maggio centra poco. Arkan arriva a Zagabria e subito inizia la sua opera di distruzione, a partire dal treno sul quale viaggiano per arrivare allo stadio. Quando le tigri entrano allo stadio, lo stadio Maksimir è una bolgia, i cori e le offese contro i serbi non si contano, ma questi ultimi non stano certo a guardare e rispondono con lo slogan "Zagabria è Serbia"; il clima è incandescente e quando i Delije cominciano a sfasciare i pannelli pubblicitari, a lanciare seggiolini in campo e a massacrare i pochi tifosi della Dinamo che hanno provato ad affrontarli nelle tribune adiacenti, è il segnale che la bomba può esplodere. Gli ultras croati cercavano solo un pretesto per entrare in azione e imbufaliti per il mancato intervento della polizia (in maggioranza serba), cominciano a sfondare i cancelli per andare allo scontro frontale; ma i poliziotti questa volta intervengono e rispondono ai lanci di pietre con manganelli e gas lacrimogeni. I pompieri cercano di disperdere i BBB croati con i getti d'acqua, mentre scoppiano dei tafferugli anche nelle zone adiacenti allo stadio.
Di pallone se ne parla magari un'altra volta, la partita è ovviamente sospesa, anzi non è nemmeno cominciata. Ma quando scoppiano i disordini, qualche giocatore della Dinamo si trova sul terreno di gioco. Sebbene abbia solo 21 anni, Zvonomir Boban è il capitano della squadra di Zagabria, merito del suo talento e di un caratterino da prendere con le molle. In qualità di capitano, anche lui si ritrova sul campo per tentare di calmare gli animi, ma il compito non è per niente facile. Per difendere un giovane tifoso della Dinamo, il giovane calciatore sferra un calcio volante ad uno degli agenti, ecco il racconto dello stesso Boban: "Ho reagito ad una grande ingiustizia, così chiara che uno non poteva rimanere indifferente...'State massacrando dei bambini', gridai...Il poliziotto mi colpì due volte urlando: 'Brutto figlio di puttana. Sei come tutti gli altri!' A quel punto ebbi una reazione d'istinto. Gli fratturai la mascella con una ginocchiata".

La foto è diventata un simbolo, molti considerano quel momento come l'inizio della guerra. Addirittura venne eretto un monumento davanti allo stadio di Zagabria: "Ai sostenitori della squadra che sui questo terreno iniziarono la guerra contro la Serbia il 13 maggio 1990". Un simbolo, qualcosa da ricordare (per i croati), qualcosa da dimenticare (per i serbi). Solo tempo dopo, venne rintracciato il poliziotto aggredito da Boban, che non è serbo bensì un bosniaco mussulmano (una delle razze più perseguitate durante la guerra), che in seguito perdonò il gesto di Boban perché "erano giorni in cui le persone parevano cieche". Il giocatore rischiò anche l'arresto, ma alla fine arrivò "solo" una squalifica che tuttavia gli impedì di partecipare ai Mondiali di Italia '90 l'estate successiva.
Il 26 settembre 1990, prima giornata dell'ultimo campionato jugoslavo della storia, vede in programma Partizan Belgrado - Hajduk Spalato. Il Partizan segna due reti e a quel punto, gli ultras croati invadono il campo chiedendo la nascita della federazione croata di calcio e riescono ad ammainare la bandiera jugoslava, issando quella croata. Nel giugno 1991 Slovenia e Croazia dichiarano la loro indipendenza rendendo esplicito un conflitto che covava sotto la cenere già da diversi anni, come gli episodi legati al calcio hanno dimostrato.

Il primo incontro dopo la fine della guerra tra Serbia (che allora si chiamava ancora Jugoslavia) e Croazia avvenne il 18 agosto 1999. Si gioca al Marakana di Belgrado, casa della Stella Rossa. Non si verificarono episodi di violenza, c'è stato un black out di qualche minuto all'inizio del secondo tempo e come ricorda il difensore Slaven Bilic (futuro C.T. croato) "l'unica cosa che si vedeva erano i puntatori a infrarossi dei fucili dei cecchini"; quando risuonò nello stadio l'inno croato, mentre i giocatori cantavano abbracciati, i cinquantamila spettatori serbi presenti alzarono tutti il dito medio. Troppo recenti le ferite della guerra per far finta di niente...

(Fonti: SportVintage - East Journal)

giovedì 9 ottobre 2014

COPPIE MAGICHE - Thierry Henry & David Trezeguet

Una delle coppie gol meglio combinate della storia del calcio. Thierry Henry e David Trezeguet hanno rappresentato l'accoppiata ideale per gli allenatori: tecnico, veloce e capace di spaziare su tutto il campo il primo, micidiale colpitore di testa e killer dell'area di rigore il secondo.

Henry venne lanciato giovanissimo (appena diciasettenne) nella stagione 1994 da Arsène Wenger che poi sarà ben felice di acquistarlo cinque anni dopo per portarselo all'Arsenal;
Trezeguet, è figlio dell'ex difensore argentino Jorge, che spese tre anni della sua carriera in Francia a Rouen (città dove nacque il figlio David nel 1977). Inizia a giocare nel paese natio del padre per la squadra argentina del Platense, salvo poi ritornare in Francia nel 1995 paese che poi deciderà di rappresentare declinando la proposta della federazione argentina. Per anni sono stati l'inamovibile coppia titolare della nazionale francese...



Insieme vincono due titoli nel 1997 e nel 2000, riportando il Monaco tra le grandi del campionato francese. Curiosamente tutti e due, dopo la comune esperienza nel Principato, vennero acquistati dalla Juventus ma con un percorso totalmente diverso; Henry viene ricordato come una delle più grandi beffe della storia bianconera, una mezza stagione da oggetto misterioso e schierato spesso fuori ruolo dall'allenatore Carlo Ancelotti, prima di essere venduto all'Arsenal dove giocherà...benino (228 gol in 377 presenze). Trezeguet venne acquistato nell'estate 2000 quando solamente pochi giorni prima aveva regalato alla Francia il titolo europeo con il primo (e per fortuna unico) caso di "golden goal" proprio contro l'Italia. Arrivato con numeri migliori di quelli di Henry, ha vinto le iniziali diffidenze dell'ambiente (si temeva un Henry 2, ovvero un altro oggetto misterioso) diventando il migliore marcatore straniero nella storia del club con 171 reti...

sabato 6 settembre 2014

Bentornato Empoli! (3/3)

Dopo la prima e la seconda puntata, arriviamo agli anni più recenti...

Ighli Vannucchi
Il ritorno in serie A avviene nella stagione 2002-03; le partenze dell'autraliano Mark Bresciano al Parma e di Massimo Maccarone al Middlesbrough sono una manna per le casse societarie, ma bisogna pur sempre affrontare una stagione difficile. A garantire la salvezza della squadra ci pensa Antonio Di Natale, un giocatore che il campionato italiano imparerà a conoscere molto bene...13 gol al suo esordio in serie A, ben aiutato da un giovane Tommaso Rocchi (6 reti); ma più in generale funziona tutta la squadra, ben orchestrata dal vulcanico allenatore Silvio Baldini.
Con lui si esprimono al meglio anche giocatori come Ighli Vannucchi, Francesco Tavano e Antonio Buscé; molto importanti anche Vincenzo Grella, infaticabile australiano del centrocampo e la difesa con Manuel Belleri, Andrea Cupi e la coppia centrale Stefano Lucchini e Francesco Pratali con Gianluca Atzori rincalzo di esperienza. Alla fine arriva un 12° posto e gli applausi di pubblico e critica. Dopo la retrocessione dell'anno successivo e la promozione nel 2004-05, il biennio successivo è quello con i risultati migliori per la squadra: arrivano un 8° e 7° posto, oltre al lancio di alcuni giocatori molto interessanti; a Empoli ci sono tutte le premesse per fare bene e i giovani possono crescere senza troppe preoccupazioni. E così Sergio Almiron, Andrea Coda, Francesco Lodi, Nicola Pozzi e Andrea Raggi sono alcuni dei giocatori che insieme ai soliti veterani spingono la squadra toscana in posizioni di classifica impensabili. Purtroppo non è sempre facile costruire una squadra competitiva ogni anno e non basta l'entusiasmo di giovani come Sebastian Giovinco, Claudio Marchisio e Ignazio Abate per raggiungere la salvezza: dopo tre stagioni in serie A l'Empoli retrocede; sfortunata anche la partecipazione in coppa UEFA: dopo la vittoria per 2-1 in casa contro lo Zurigo, al ritorno in Svizzera l'Empoli viene travolto per 3-0 anche perché l'allenatore Gigi Cagni decise di schierare le riserve per le partite europee...

In tanti sono quelli che dopo qualche buona stagione ad Empoli, hanno accettato il trasferimento in altre realtà sicuramente più prestigiose, anche se poi il rendimento non sempre è stato all'altezza delle aspettative.
Di Natale è un po' l'eccezione che conferma la regola. Anche Max Tonetto ha ottenuto ottimi risultati lontano da Empoli: acquistato dal Milan e poi girato in prestito al Bologna, è rimasto per quattro anni a Lecce e un biennio spettacolare con Novellino alla Sampdoria che gli è valso la chiamata della Roma (dove ha ritrovato il suo maestro Spalletti) e l'esordio in Nazionale a 32 anni!
Ad esempio non sono riusciti a sfondare del tutto Carmine Esposito (sporadiche apparizioni tra Fiorentina, Sampdoria e Vicenza), Fabrizio Ficini (Sampdoria e Fiorentina prima di tornare e chiudere all'Empoli), Giovanni Martusciello (Genoa e Palermo in una stagione, poi Cittadella e Catania si serie B e la chiusura dopo qualche anno in C). Cribari venne acquistato dall'Udinese nel 2004, ma un grave infortunio bloccò l'ascesa della sua carriera che nonostante tutto l'ha visto indossare le maglie di Lazio (per cinque stagioni) e brevemente anche del Napoli. Marco Roccati aveva esordito da titolare alla grande, parando un rigore di uno dei migliori specialisti come Beppe Signori; venne acquistato dal Bologna che continuava a girarlo in prestito (Perugia, Pistoiese), poi Dundee Utd. (Scozia), Napoli, Ancona...il non riuscire mai a trovare una certa stabilità ha influito negativamente sulla sua parabola calcistica.
Già dal look si capiva che non sarebbe andata bene a Valencia
Emblematico poi il caso di Francesco Tavano: dopo ottime stagioni con l'Empoli, nel 2006 viene acquistato dal Valencia; si rivelò uno dei peggiori affari mai fatti dalla società spagnola, solo sei presenze in totale durante la parentesi spagnola...Il ritorno in Italia, tra Roma e Livorno non è entusiasmante, solo quando ritorna ad Empoli Tavano si è espresso al meglio, superando anche il traguardo delle 100 reti in serie B e con la maglia biancoazzurra, è anche il miglior marcatore nella storia della società, scavalcato Carlo Castellani giocatore che da il nome allo stadio cittadino e che morì deportato a Mathausen nel 1944 in quanto sospettato di appartenere alla Resistenza...

mercoledì 3 settembre 2014

Bentornato Empoli (2/3)

Fabrizio Ficini
Seconda puntata della storia dell'Empoli...la prima l'avete letta vero?

Nel 1996-97 Luciano Spalletti porta la squadra al secondo posto del campionato di serie B e l'anno successivo è di nuovo massima serie! Un gioco spumeggiante come d'abitudine del tecnico e tanti giocatori motivati. Bomber stagionale con 14 reti il napoletano Carmine Esposito che dopo l'Empoli ha giocato con Fiorentina, Sampdoria e Vicenza; in rosa giocatori molto interessanti per questo blog come Alessandro Pane e Fabrizio Ficini le due colonne del centrocampo che diventeranno veri simboli della squadra, così come il difensore Daniele Baldini. In porta il talentuoso Marco Roccati che si alternava con Angelo Pagotto, in difesa sono fondamentali i due esterni Max Tonetto e Raffaele Ametrano mentre a centrocampo c'è ancora Pier Paolo Bisoli a lottare. Spettacolare l'attacco, reparto sempre molto curato da Spalletti: il contributo offerto da Massimiliano Cappellini, Matjaz Florijancic (in precedenza giocatore importante della Cremonese) e Giovanni Martusciello (esploso dopo lunghi trascorsi in serie C nell'Ischiese) è fondamentale per la salvezza! Da segnalare anche un giocatore promettente come Binho: brasiliano, fratello maggiore del più famoso Emilson Cribari, si fece notare alla sua stagione d'esordio con una grande marcatura su Ronaldo, fenomeno dell'Inter! Un giocatore che avrebbe potuto fare una carriera migliore con un pizzico di fortuna in più; la scelta di lasciare Empoli per seguire il suo maestro Corrado Orrico alla Lucchese in C1 non gli ha certamente giovato, anche perché complici i tanti infortuni non è più riuscito a riemergere ai livelli più alti. In squadra riesce anche a fare una breve comparsata la Vipera, al secolo Salvatore Mastronunzio classico bomber di categoria che non è mai riuscito a sfondare in serie A!

La stagione successiva (1998-99) si rivelerà disastrosa per la squadra che aveva confermato il blocco dell'anno prima più qualche giovane di belle speranze come Marco Marchionni e Marcelo Zalayeta, purtroppo inutili per salvare la squadra dalla retrocessione. Sotto la guida di Mauro Sandreani prima e di Corrado Orrico poi, l'Empoli finisce 18° e torna in serie B....

lunedì 1 settembre 2014

Bentornato Empoli! (1/3)

Ci sono società che mi stanno simpatiche istintivamente. Non nascondo che l'Empoli rientra sicuramente in questa categoria. Piccola cittadina toscana di meno di 50.000 abitanti poco distante da Firenze, ha sempre militato nelle categorie inferiori fino a metà degli anni 80.

Un giovane Walter Mazzarri
La prima promozione in serie A risale alla stagione 85-86: la squadra allenata da Gaetano Salvemini chiude al quarto posto grazie alle reti di Luca Cecconi, ma il Vicenza vede la sua promozione revocata, visto che la squadra era implicata nello scandalo del "Totonero" (venne coinvolta nella vicenda tra le altre squadre anche la Lazio, che comincerà la stagione successiva con la penalizzazione di -9 riuscendo comunque a salvarsi, un'impresa ancora ricordata dai tifosi laziali), quindi l'Empoli viene ripescata ed insieme ad Ascoli e Brescia disputerà la stagione successiva in serie A. Prima stagione nel massimo campionato e l'esordio è clamoroso: battuta l'Inter di Trapattoni (e Altobelli, Rummenigge, Tardelli ecc) per 1-0, gol del talentuoso Marco Osio (che l'anno successivo verrà acquistato dal Parma) e 0-1 in casa dell'Ascoli; la terza giornata si scontrano le due capoliste, Juventus ed Empoli in casa di questi ultimi: la partita è combattuta, ma alla fine la spuntano i bianconeri con un gol di Sergio Brio nel secondo tempo. Sarà la prima di sei sconfitte consecutive, prima di una vittoria scaccia crisi contro il Verona (sempre per 1-0); dopo la serie negativa l'Empoli manterrà l'imbattibilità casalinga fino al penultimo turno imponendo il pareggio a squadre come la Fiorentina, la Sampdoria di Vialli e Mancini e al Napoli di Maradona che quell'anno vincerà lo scudetto!
Tra le fila dell'Empoli troviamo il centrocampista Walter Mazzarri, il difensore Massimo Brambati (a fine carriera dirigente poi commentatore TV), il già citato Marco Osio e l'attaccante Francesco Baiano in prestito dal Napoli. Pochissime le reti realizzate dalla squadra, solo 13 in 30 partite ma l'Empoli raggiunse ugualmente la salvezza all'ultima giornata con la vittoria a Como grazie ancora ad una rete di Osio!
Capocannoniere della squadra? Lo svedese Johnny Ekström con l'imbarazzante cifra di tre reti, acquistato durante la sessione invernale del mercato dall'IFK Göterborg (arrivò dall'Arezzo un giovane che avrebbe poi fatto strada, un certo Amedeo Carboni...). Merita un piccolo approfondimento la parabola calcistica di Ekström: classe 1965, sbarca in Italia ad appena 21 anni, lasciando intravvedere ottime qualità. Dopo il primo anno chiuso con tre gol, c'è un lieve miglioramento la stagione successiva (5 gol) ma ancora insufficienti per dimostrare di essere un bomber di razza...Tra i momenti da ricordare c'è sicuramente la vittoria alla seconda giornata di campionato in casa contro la Juventus, regolata per 1-0 grazie ad un diagonale imprendibile proprio dello svedese! Ma quello rimane uno dei pochi acuti (individuali e di squadra) della stagione, infatti arriva la retrocessione; Ekström venne poi ingaggiato dal Bayern Monaco, con cui realizzò 7 gol, per poi giocare a Cannes in Francia e di nuovo in patria con l'IFK. Nel 1993-94 il ritorno in Italia con la maglia della Reggiana: 9 presenze e una sola rete. Una curiosità: anche per la Reggiana era la prima stagione in serie A, ma contrariamente a quanto fece l'Empoli qualche anno prima, non riuscì a salvarsi...

mercoledì 20 agosto 2014

Esultanze nel calcio: dal Bari allo Stjarnan

Lo Stjarnan, squadra islandese che affronterà l'Inter in occasione dei preliminari di Europa League, è ormai diventata famosa in tutto il mondo per le sue esultanze particolari e studiate a tavolino.

Questo video riassume le migliori...


Alcune sono veramente spassose!

Ma su questo blog, l'esultanza preferita rimarrà sempre questa....


venerdì 25 luglio 2014

Ferie!

Cari amici, mi prendo un mese di riposo! 
Ci rivediamo a fine agosto con tanti post già pronti; qualche anticipazione? Si parlerà di Empoli, Hugo Sanchez, Arsenal, David Chiumento, Giovane Elber, Grecia, trasferte improbabili e tifosi improbabili, un alfabeto di fine anno molto particolare, qualche piccola miglioria grafica...
Insomma, un mese di pausa per tornare ancora più carichi di prima! 
Buone vacanze a tutti

Van Gaal, Jaconi e la favola del calabrone

Spesso il confine tra la vittoria e la sconfitta, tra la gloria e le pernacchie è molto sottile. Basti pensare alla Germania e a Messi. La prima ha vinto il quarto mondiale della sua storia ed è l'esempio da seguire, ma sarebbe bastato che uno tra Higuain, Messi e Palacio non avesse sciupato le tre clamorose occasioni capitate per parlare (forse) di un altra storia; improvvisamente la Germania sarebbe diventata quella che non vinceva mai, quella che arrivava sempre ad un passo dal traguardo (finalista negli Europei 2008, semifinalista ai Mondiali 2006, 2010 ed Europei 2012) e magari adesso (sbagliando) non si parlerebbe di modello tedesco. E Messi non sarebbe trattato alla stregua di un giocatore normale, che non regge la pressione, che in nazionale non è mai decisivo ecc. (e Goetze è più forte di Messi solo quando gioca alla Playstation, tanto per chiarire). Ma la storia non si fa con i "se", sacrosanto. La Germania ha vinto e l'Argentina (quindi, Messi) ha perso. Amen.

Tutto questo cappello introduttivo per dire una cosa fondamentale: ci vuole culo. Nella vita, nello sport, ovunque. Ci vuole culo. Culo e coraggio. Doti che sicuramente non fanno difetto a Louis van Gaal, commissario tecnico dell'Olanda agli ultimi Mondiali del 2014 e futuro allenatore del Manchester United.
Louis van Gaal è passato nel giro di dieci minuti da "pazzo" a "genio". Ad un minuto dalla fine dei tempi supplementari ha fatto uscire il portiere titolare Cillessen per la riserva Krul. L'Olanda passa il turno grazie a Krul che para due rigori. Ma provate a pensare se avesse vinto la Costa Rica: altro che genio, sarebbe diventato lo zimbello di mezzo mondo; peraltro Krul fino a quella partita non era certo considerato come uno specialista dei rigori...

Questa mossa però ha un precedente, che ha avuto il torto di avere una scarsa eco mediatica.
Siamo nel 1996. Lo spareggio per la promozione in serie B vede di fronte il Castel di Sangro e l'Ascoli. Si gioca a Foggia, gara unica. 120 minuti non servono per stabilire un vincitore, servono i rigori; ma poco prima di iniziare i tiri dagli undici metri, l'allenatore del Castel di Sangro toglie il portiere Roberto de Juliis per inserire Pietro Spinosa che fino a quel momento non era neanche mai sceso in campo! Poco prima della fine della partita, Osvaldo Jaconi si alza dalla panchina, si avvicina a Spinosa e gli dice: "Pietro, vuoi portarci in serie B? Scaldati che entri per i rigori"; sulle prime il portiere pensava ad uno scherzo ma di fronte all'insistenza di Jaconi comincia a prepararsi. Quando viene sostituito a due minuti dalla fine, il titolare de Juliis è a dir poco inferocito: esce senza salutare Spinosa (peraltro suo buon amico) e si dirige a brutto muso verso Jaconi e gliene dice di tutti i colori; ma il mister è calmo: "Vuoi giocare l'anno prossimo in serie B? E allora fammi fare..."
Osvaldo Jaconi
Jaconi quando arrivò nel 1994 disse che il Castel di Sangro doveva fare come il calabrone, l'insetto che teoricamente non potrebbe volare e che invece vola. Spinosa intuisce il rigore calciato da Milana e la squadra abruzzese ha spiccato il volo proprio come il calabrone. "Niente di splendido fu mai scritto se non da coloro i quali osarono credere che dentro di loro qualcosa era superiore alle circostanze". E' una frase di Abraham Lincoln che Jaconi, scrisse sulla lavagna prima della partita-promozione contro l'Ascoli. La mossa di van Gaal ci ha consentito di ricordare questo bel momento di sport, vissuto lontano da telecamere e giornalisti ma che meritava di essere ricordato. Jaconi e van Gaal, così simili e così lontani. In fondo, si può dire che van Gaal ha fatto come Jaconi. Anche se non lo sapeva.

P.S. Spinosa adesso fa il preparatore dei portieri e lavora nello staff di Domenico Di Carlo.

martedì 15 luglio 2014

Curiosità Mondiali # 6


L'Ecuador ha partecipato solo tre volte ai Mondiali, tutti in anni recenti; ma la cosa curiosa è che in tutte e tre le apparizioni è stata guidata da C.T. colombiani!
Nel 2002 sulla panchina sedeva Hernan Dario Gomez (l'Ecuador era nel girone con l'Italia che affrontò nella prima partita rimediando una sconfitta per 0-2 con doppietta di Vieri).
Nel 2006 è il turno di Luis Fernando Suarez (che ai Mondiali 2014 guidava l'Honduras) che riesce nell'impresa di portare la "Tricolor" agli ottavi di finale (sconfitti dall'Inghilterra per 0-1, gol di Beckham).
Nel 2014 Reinaldo Rueda non è riuscito a ripetere il traguardo di otto anni prima e l'Ecuador non ha superato il girone eliminatorio...

lunedì 14 luglio 2014

Curiosità Mondiali # 5



24 anni. Tanto hanno dovuto aspettare i tifosi delle 3 nazionali che hanno vinto almeno 4 volte la Coppa del Mondo tra il terzo e il quarto titolo. Il Brasile ha vinto la terza volta nel 1970 e la quarta nel 1994. L'Italia nel 1982 e nel 2006. La Germania ha interrotto il digiuno quest'anno dopo l'ultimo trionfo del 1990. E' anche la prima volta che una nazionale europea trionfa in Sudamerica:
1930 - Uruguay, vincente Uruguay
1950 - Brasile, vincente Uruguay
1962 - Cile, vincente Brasile
1978 - Argentina, vincente Argentina

giovedì 3 luglio 2014

Ricordi Mondiali # 6



Usa '94. Il capitano della Colombia Andres Escobar ha appena maldestramente realizzato un'autorete nella partita contro i padroni di casa americani. Esattamente 20 anni fa, il giocatore veniva ucciso a Medellin molto probabilmente proprio a causa di quel maledetto autogol realizzato durante il torneo

martedì 1 luglio 2014

Curiosità Mondiali # 4



Subentrando al titolare David Ospina, Faryd Mondragon è diventato il giocatore più vecchio ad aver giocato una partita dei Mondiali, alla veneranda età di 43 anni! Mondragon aveva già preso parte ai Mondiali 1994 (senza giocare) e 1998 (3 partite, Colombia eliminata ai gironi di qualificazione)

domenica 29 giugno 2014

Curiosità Mondiali # 3

Nelle sue partecipazioni ai Mondiali, il Cile è riuscito a passare il gruppo di qualificazione solo quattro volte e in tutte le occasioni è stato eliminato dal Brasile!
- 1962, eliminazione in semifinale, 2-4
- 1998, eliminazione agli ottavi, 1-4
- 2010, eliminazione agli ottavi, 0-3
- 2014, eliminazione agli ottavi 1-1 (2-3 ai rigori)

martedì 24 giugno 2014

Curiosità Mondiali # 2



L'ultima volta era successo nel 1996. Dopo 18 anni e 221 partite, nell'Olanda non è sceso in campo nessun giocatore che avesse nel cognome il diffusissimo prefisso "Van". La squalifica di Van Persie ha impedito la presenza in campo dell'unico giocatore col prefisso "Van" tra gli Oranje convocati in questa spedizione mondiale...

Ricordi Mondiali # 5


Mondiali 1994. Con un'acconciatura anni '80, il difensore messicano Miguel Herrera viene immortalato per la raccolta di figurine mondiale, anche se alla fine non riesce ad entrare a far parte della selezione messicana che partecipa ad USA'94. 20 anni dopo (visibilmente fuori peso) è l'allenatore della sua nazionale...


Gli altri ricordi mondiali: #1 - #2 - #3 - #4 

domenica 22 giugno 2014

Maglie Mondiali # 1



Mondiali 1998. Questa è la maglia della Croazia, che alla prima partecipazione ai Mondiali dopo la nascita della Nazione in seguito all'implosione della Jugoslavia, raggiunge un incredibile quarto posto grazie anche a talenti come Boban, Prosinecki, Suker, Stanic...Una Nazionale che (prossimamente) si merita un post a parte...

Ricordi Mondiali # 4



Mondiali 2010. Per la prima volta nella storia dei Mondiali, si affrontano due fratelli! Stesso padre, ma madre diversa (quindi più che fratelli, fratellastri), Kevin Prince (nato nel 1987) e Jerome (classe 1988) Boateng hanno preso strade differenti: il fratello maggiore ha scelto di giocare per il Ghana, il fratello minore per la Germania. Poco dopo la nascita di Kevin, il padre Prince lasciò la compagna Christine Rahn (nipote di Helmut Rahn che segnò una doppietta nella finale dei Mondiali 1954, vinti dalla Germania contro l'Ungheria) per un'altra ragazza tedesca da cui è nato Jerome; cresciuti tutti e due in Germania, seppure in contesti differenti (KP in un ambiente problematico e violento, molto più serena l'infanzia di Jerome), Kevin ha scelto di giocare per la nazionale africana in seguito ad un episodio risalente agli Europei under 21 del 2009: viene escluso dalla squadra e per ripicca scelse di giocare per il Ghana; molti dei giocatori di quella selezione oggi fanno parte della nazionale maggiore (Neuer, Ozil, Khedira e lo stesso Jerome).
Adesso i rapporti tra i due fratellastri sono tranquilli ma nel 2010 erano decisamente pessimi, anche perché KP aveva azzoppato il capitano tedesco Michael Ballack nella finale di FA Cup tra Portsmouth e Chelsea, negandogli la partecipazione agli imminenti Mondiali sudafricani. Jerome non la prese bene e non si fece problemi ad usare parole forti nei confronti del fratello maggiore, che a sua volta replicò: "Con te ho chiuso".

Gli altri ricordi mondiali: #1 - #2 - #3

venerdì 20 giugno 2014

Ricordi Mondiali # 3



Mondiali 1998. Marcelo Salas infila due volte in 5 minuti la retroguardia italiana (soprattutto Cannavaro); impariamo così a conoscere perché viene soprannominato "El Matador". L'Italia riuscirà poi a pareggiare con un rigore di Roberto Baggio a 5 minuti dal termine.

Gli altri ricordi mondiali #1 #2

giovedì 19 giugno 2014

Ricordi Mondiali # 2



Titolo d'apertura de L'Equipe che riporta le parole del sempre moderato Nicolas Anelka all'indirizzo del suo allenatore, Raymond Domenech, durante l'intervallo di Francia-Messico 0-2. No, stavolta non serve Google traduttore...

Gli altri ricordi Mondiali #1

mercoledì 18 giugno 2014

Ricordi Mondiali # 1



Mondiali 1994. L'Argentina affonda la Grecia per 4-1, il terzo gol lo segna Maradona. Un Maradona che dopo la squalifica per cocaina del 1991, se ne va da Napoli senza però riuscire a toccare di nuovo le vette raggiunte durante l'esperienza in Italia. Ma il giocatore che si presenta in America è tirato a lucido, dimagrito e in grande spolvero; l'urlo rabbioso verso la telecamera e verso gli obiettivi dei fotografi dopo la rete ai greci è stato l'ultimo acuto della sua carriera...

giovedì 12 giugno 2014

Curiosità Mondiali # 1

Tempo di Mondiali e finalmente termina l'estenuante attesa di quattro anni! Per dare il benvenuto all'edizione del 2014, ecco una piccola curiosità riguardante le squadre vincitrici del mondiale: non era mai successo che una futura nazionale campione del mondo perdesse la partita d'esordio, al limite si erano verificati due pareggi (Inghilterra '66 e Italia '82). Ad infrangere questo tabù del calcio è stata la nazionale spagnola quattro anni fa ai mondiali Sudafricani, che nonostante la sconfitta nell'esordio conro la Svizzera per 0-1 (rete di Gelson Fernandes), è riuscita a vincere la sua prima coppa del mondo...
Ecco tutti gli altri esordi delle squadre che poi hanno vinto il mondiale:

1930 - Uruguay-Perù 1-0
1934 - Italia-Stati Uniti 7-1
1938 - Italia-Norvegia 2-1
1950 - Uruguay-Bolivia 8-0
1954 - Germania Ovest-Turchia 4-1
1958 - Brasile-Austria 3-0
1962 - Brasile-Messico 2-0
1966 - Inghilterra-Uruguay 0-0
1970 - Brasile-Cecoslovacchia 4-1
1974 - Germania Ovest-Cile 1-0
1978 - Argentina-Ungheria 2-1
1982 - Italia-Polonia 0-0
1986 - Argentina-Corea del Sud 3-1
1990 - Germania Ovest-Jugoslavia 4-1
1994 - Brasile-Russia 2-0
1998 - Francia-Sudafrica 3-0
2002 - Brasile-Turchia 2-1
2006 - Italia-Ghana 2-0
2010 - Spagna-Svizzera 0-1
2014...?

domenica 11 maggio 2014

El tractor spegne il motore

Nel 1995 l'Inter era appena tornata in mano ad un Moratti; Massimo, il figlio di Angelo presidente della grande Inter degli anni '60.
Nella foto sotto, a fianco della bandiera nerazzura Giacinto Facchetti, ci sono due dei giocatori acquistati per tentare di riportare l'Inter ai grandi livelli e presentati il 5 giugno 1995 alla terrazza Martini. Il ragazzo alla sinistra di Facchetti si chiama Sebastian Rambert e le attenzioni sono un po' tutte per lui. Talento dell'Independiente, soprannominato "avioncito", per l'aeroplanino mimato dopo i gol. Anche il timido ragazzo alla destra è argentino, il suo nome è Javier Zanetti, ha 21 anni ma è poco conosciuto, si sa solo che ha giocato per il Banfield nell'ultima stagione e che il suo acquisto è stato avallato direttamente dal presidente Massimo Moratti e segnalato (come Rambert) da Angelillo. In luglio si presenta a Cavalese, sede del ritiro interista; da solo, con un sacchetto del supermercato in mano. Ad attenderlo solo due giornalisti. "Sono Zanetti, è qui il ritiro dell'Inter?"

19 anni dopo, Javier Zanetti è entrato nella storia del club, mentre Rambert ha collezionato solo due presenze (e nessuna in campionato) prima di essere ceduto già nel mercato invernale del 1995-96! A proposito di Rambert, Zanetti avrà modo di dichiarare in seguito: "Forse sono stato solo più fortunato di Sebastian – lui è comunque un buon giocatore, che non è riuscito a sfondare nell’Inter anche perché era reduce da un brutto infortunio al ginocchio"


Quando è arrivato in Italia, era uno dei 4 stranieri presenti in squadra (oltre al già citato Rambert, c'erano anche Paul Ince e Roberto Carlos), ma solo tre possono scendere in campo; rischia di essere il giocatore sacrificato, ma l'allenatore Ottavio Bianchi dimostra subito di credere in lui. Con grinta e determinazione si conquista il posto da titolare, posto che ha conservato fino alla fine della carriera a prescindere dagli allenatori che sedevano in panchina; terzino, centrocampista esterno, ala, centrale di centrocampo: ha ricoperto praticamente tutti i ruoli possibili, sempre pronto a sacrificarsi per la squadra. Probabilmente questa umiltà deriva dalla sua infanzia, quando giocava con le scarpette consumate nei campi polverosi; quando è stato scartato dall'Independiente per il fisico troppo gracile e per un anno ha smesso di giocare concentrandosi solo sullo studio e sul lavoro aiutando il padre muratore: gli servirà per sviluppare il suo fisico. Proprio il padre lo convince a riprendere a giocare e la possibilità arriva grazie al Talleres dove gioca il fratello Sergio, ma Javier - pur di non passare come raccomandato - aspettò che il fratello venisse ceduto prima di cominciare a giocare per la squadra.

E' rimasto negli anni sempre molto legato a Facchetti. Quando al dirigente interista diagnosticarono il tumore al pancreas, Zanetti andò spesso a trovarlo in ospedale. In una delle ultime visite strappò un sorriso a Facchetti promettendogli di portare il giorno successivo la Supercoppa Italiana; dopo essere stata sotto per 0-3 contro la Roma a San Siro, la squadra nerazzurra rimonta e vince ai supplementari per 4-3 e Zanetti torna a fare visita a Facchetti con il trofeo. Otto giorni dopo, il 4 settembre 2006 il grande Giacinto morì. Nel 2011, dopo la vittoria della coppa Italia ricevette un sms dalla madre che si trovava in Argentina: "Figlio, complimenti, sono felicissima per te...ti voglio bene". Ma Javier non fece in tempo a rispondere al messaggio, perché poche ore dopo la madre morì per un infarto.

Soprannominato "Pupi" perché in Argentina giocava in una squadra con ben cinque giocatori di nome Javier, ma soprattutto "El tractor" per la sua grande forza fisica che metteva nelle sue sgroppate sulle fasce. Quella forza e quella volontà che gli ha consentito di giocare fino a 41 anni riprendendosi dal gravissimo infortunio al tendine d'Achille dell'Aprile 2013, quando pochi giorni dopo l'operazione dichiarava che il suo sogno era solo quello di giocare un'altra partita con la maglia dell'Inter; ci è riuscito dopo 195 giorni di grande lavoro, nonostante l'avanzare implacabile dell'età. Più di mille partite disputate in tutta la sua carriera, secondo per presenze in serie A dietro al solo Maldini (e con sei stagioni in meno giocate in serie A). Due sole espulsioni in vent'anni in Italia. Tanti successi e tante delusioni. Il rispetto e l'ammirazione di tutti conquistato in ognuna delle migliaia di partite disputate. Sull'ultima fascia da capitano indossata a San Siro l'altra sera, i nomi di tutti i suoi compagni di squadra di questa favolosa avventura. Il numero 4 merita di non essere più indossato da nessun altro giocatore interista.